L’alta velocità ha davvero accorciato l’Italia? – Campanili n. 35
Ha cambiato il nostro modo di viaggiare, almeno lungo una delle due sponde della Penisola. Ma auto e aereo restano centrali: la rivoluzione del treno è meno profonda di quanto sembri. Un’indagine
Un filo d’acciaio tiene insieme i campanili italiani e attraversa la storia: promessa di modernità nell’Italia unita, mezzo centrale durante il fascismo, compagno di viaggio nel dopoguerra accanto all’automobile. È il treno, e lo è ancora oggi. In meno di vent’anni l’alta velocità ha trasformato viaggi lunghi e rituali in spostamenti rapidi e funzionali, soppiantando l’aereo tra Roma e Milano e diventando un concorrente serio tra Napoli e le città del Nord. La “metropolitana d’Italia”, da Torino a Salerno, ha cambiato il modo in cui abitiamo le distanze, scegliamo i lavori, immaginiamo i fine settimana. Almeno per chi vive nei grandi centri serviti dalle Frecce di Trenitalia e da Italo – a cui, dal 2026, si aggiungeranno i treni della SNCF, le ferrovie francesi, grazie all’apertura alla concorrenza. Nel 2017, Marco Bucci – allora candidato sindaco di Genova, poi eletto – lanciò la provocazione di voler rendere “Genova la periferia di Milano” grazie alle infrastrutture, attirandosi più di qualche critica, ma con una visione ben precisa: oggi il viaggio richiede poco più di un’ora e mezza; domani, a opere concluse, scenderà sotto l’ora, cambiando di fatto la vita a migliaia di persone. Il treno, in questo senso, può essere davvero un motore straordinario di sviluppo.
Per le politiche pubbliche italiane la ferrovia ha sempre rappresentato una priorità, e da quando si è deciso di puntare con forza sull’alta velocità gli investimenti si sono moltiplicati. La dorsale Torino-Salerno è costata circa 40 miliardi; la Milano-Venezia un’altra decina; e nei prossimi quindici anni cantieri come il Terzo Valico tra Liguria e Lombardia, il corridoio Verona-Brennero, la Napoli-Bari e il completamento della Salerno-Reggio Calabria ridisegneranno ancora la mappa, con ulteriori decine di miliardi già impegnati o in arrivo. Il PNRR ha destinato circa 25 miliardi proprio alla ferrovia: circa 400 cantieri tra elettrificazioni, stazioni, scali, ERTMS (il sistema di gestione, controllo e protezione del traffico ferroviario) e nodi logistici. Il Gruppo Ferrovie prevede, tra il 2025 e il 2029, circa 100 miliardi per raddoppi, gallerie, ammodernamenti e manutenzioni.
Molti interventi si riflettono nei ritardi e nei disagi quotidiani dei pendolari: prima concentrati sulle linee secondarie, oggi sempre più frequenti anche sull’alta velocità. La ragione c’è: l’infrastruttura è prossima alla saturazione, quasi vittima del proprio successo. I Frecciarossa trasportano circa 45 milioni di passeggeri l’anno, Italo circa 25 – su un numero minore di tratte.
Le stazioni, però, non sono solo cifre. “Il treno ti consente di prenderti del tempo: c’è qualcuno che fa il lavoro per te. Puoi fare altro mentre viaggi: leggere, scrivere, guardare”, mi dice Gianni Montieri, che nel suo libro Non era un mostro strano lo definisce “oggetto del cuore”. E continua: “Il treno è un osservatorio ed è anche un luogo d’incontri; una sorta di traghettatore di memorie e di linguaggi: rende facili passaggi che altrove chiedono fatica”. Nelle sue pagine la Milano-Venezia o la Milano-Napoli attraversano le diverse stagioni dell’aumento della velocità: Intercity, poi Pendolino, l’Eurostar e infine l’AV. Gli orari si comprimono, gli interni forse perdono un po’ di anima, diventa tutto più funzionale – “il design degli Intercity era più curato” – ma il guadagno in percorrenza resta un cambiamento benvenuto. Il treno è, per molti di noi, un archivio vivente.
Quell’archivio, però, va pagato. E qui il discorso si fa meno poetico. L’economista Francesco Ramella, direttore esecutivo di Bridges Research e research fellow dell’Istituto Bruno Leoni, ricorda che la ferrovia inquina certamente meno di auto e aereo, ma non per questo ogni euro speso in ferrovia è automaticamente ben speso: “Secondo diverse stime, in mezzo secolo l’Italia ha trasferito al sistema ferroviario circa 750 miliardi senza ottenere un vero riequilibrio nelle abitudini: il 6 per cento dei chilometri percorsi resta sulle linee ferroviarie, il 94 per cento su strada. È vero che gli spostamenti in treno sono cresciuti, anche grazie all’alta velocità, ma sono cresciuti anche gli altri mezzi di trasporto”. E se l’AV ha prosciugato il traffico aereo sulla Roma-Milano, il quadro nazionale è diverso: secondo ENAC, nel 2023 i passeggeri dei voli domestici sono stati circa 68,6 milioni su 197,1 totali (pari al 35 per cento), oltre 4 milioni in più rispetto al 2019. Nei prossimi anni è atteso un ulteriore aumento del traffico aereo, con grandi investimenti su Fiumicino e Malpensa e l’apertura di nuovi scali, come Salerno-Costa d’Amalfi. Anche sull’autostrada A1, tra il 2022 e il 2023, il traffico è aumentato del 5,1 per cento, un dato in linea con la media delle autostrade a pedaggio, secondo l’AISCAT.
È qui che, per me, la nostalgia lascia il posto alla metrica: l’efficacia degli investimenti ferroviari non si può valutare sulla velocità massima, ma sul tempo porta a porta e sulla concentrazione della domanda. In quanti minuti mi sposto davvero dal portone di casa alla destinazione? Quante persone beneficiano di quei minuti? La verifica più concreta è sulla mia tratta abituale, Roma-Napoli, quella che percorro più spesso perché vivo nella Capitale ma la mia famiglia vive a Napoli. Ammetto di avere una concezione del viaggio un po’ sui generis: arrivo a Termini in scooter, parcheggio in una delle stradine intorno alla stazione (consiglio via Amendola, c’è sempre posto, altrimenti i marciapiedi sono accoglienti), passo i tornelli e mi presento al binario con 3-4 minuti di anticipo. Sì, lo so: per molti è incoscienza pura, ma sono abituato così, e d’altronde sono lo stesso che in aeroporto compare al gate quando l’imbarco è già iniziato.
A Napoli aspetto la metro, scendo in centro e poi – a seconda dell’orario – o qualcuno passa a prendermi oppure prendo un taxi, o ancora, se arriva in tempi ragionevoli, salgo su un autobus. Se appartenete alla rispettabile categoria di chi vuole 20-30 minuti di margine in stazione per vivere sereni, quel tempo si somma e il “porta a porta” si allunga ancora. Morale: l’AV è imbattibile sulle tratte medio-lunghe (Milano, Firenze, Bologna), soprattutto perché le stazioni sono più prossime ai centri città rispetto agli aeroporti (l’unica eccezione è Linate, che con la nuova linea della metropolitana, permette di arrivare in Piazza San Babila in una quindicina di minuti); su Roma-Torino l’aereo, piaccia o meno, resta spesso la soluzione più efficiente; mentre sulle tratte brevi come la Roma-Napoli il viaggio “del treno” – tutto incluso – supera ampiamente l’ora e dieci indicata dal biglietto, e arriva nei casi più ottimisti a circa due ore e mezza. In auto, nelle ore giuste, il viaggio è più o meno simile; e io abito in zone relativamente centrali di entrambe le città. Per chi vive più decentrato, il bilancio treno-auto è ancora più favorevole alle quattro ruote. Senza contare il costo: da soli il treno è competitivo se si prenota con anticipo; a ridosso della partenza i prezzi si avvicinano (o superano) l’auto. In due, tre o quattro, l’auto vince nettamente.
La grande differenza, tra acciaio e gomma – sottolinea Ramella – è che “una quota rilevante dei costi di costruzione e gestione dell’infrastruttura ferroviaria resta a carico dei contribuenti”; la strada, al contrario, pesa poco sui conti pubblici: meno di 20 miliardi di spesa l’anno a fronte di incassi attorno ai 50 tra pedaggi, bollo, accise e imposte (al netto dell’IVA). In termini di costi-benefici funzionano le linee ad alta domanda (Roma-Milano come Parigi-Lione); altrove – per esempio la Napoli-Bari – il rischio è che i benefici collettivi siano inferiori ai costi. Nel 2024, inoltre, i trasferimenti diretti a FS ammontavano a circa 12 miliardi, più circa 5 per coprire il disavanzo del fondo pensioni del settore: un dato che raramente entra nel racconto epico dei binari.
Per Ramella c’è anche un aspetto funzionale da considerare: “Malgrado gli enormi investimenti e la retorica, l’auspicato passaggio dall’auto o dall’aereo al treno non si è materializzato: tutti vorrebbero più ferrovie perché il treno inquina meno, occupa meno spazio ed è più sicuro, ma gli utenti preferiscono comunque l’auto o l’aereo”.
In ogni caso, io continuerò ad arrivare al binario con tre minuti di anticipo: è il mio modo di fare, vivere con i minuti contati e tenere il treno in gara, perché è un mezzo che mi piace e permette di fare molto mentre mi sposto. Anche se, spesso e in termini puramente finanziari, so che mi converrebbe prendere l’auto.
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