Com’è bello fare figli da Bolzano in su – Campanili n. 40
In Alto Adige la natalità non è un miracolo statistico ma frutto di un ecosistema: servizi capillari, imprese coinvolte, sostegni economici e una società che considera la famiglia interesse pubblico
Quando si imbocca da sud l’Autostrada A22 Verona-Brennero, la sensazione è sempre la stessa: si entra in un altro mondo. Le quattro corsie si insinuano nelle valli alpine e scorrono accanto a un numero crescente di campanili, il segno caratteristico dei piccoli paesi arrampicati sulle montagne, dapprima morbide e poi via via più alte e imponenti. Non è solo il paesaggio, e nemmeno il bilinguismo che comincia a fare capolino nei cartelli degli svincoli per poi imporsi nella toponomastica e nelle insegne. È anche una questione di efficienza amministrativa, di quell’aura da Nord Europa incastonata in Italia che si percepisce fin dall’autostrada.
L’eccezione altoatesina, certo, è stata “comprata” con decenni di autonomia fiscale e amministrativa, resa possibile da un sistema che restituisce sul territorio il 90 per cento del gettito raccolto. Ma altre regioni italiane dispongono di margini ampi e spesso li utilizzano in modi nettamente peggiori.
Il terreno demografico è un indicatore particolarmente rivelatore dell’efficienza della mano pubblica, perché natalità e conciliazione lavoro-famiglia sono interessi strategici, soprattutto in un paese che attraversa un profondo declino della popolazione residente. Mentre l’Italia registra ogni anno nuovi minimi storici – 1,13 figli per donna nei primi sette mesi del 2025, in calo rispetto all’1,21 dello stesso periodo del 2024 – la Provincia di Bolzano segue un’altra traiettoria. Segna un aumento, piccolo ma significativo, del tasso di fecondità pari all’1,9 per cento e si conferma la realtà con il valore più alto del paese: 1,55 figli per donna. Come ci riescono? “Non è la prima volta che ci chiedono come facciamo”, mi dice sorridendo Michela Morandini, direttrice del Dipartimento Coesione sociale, Famiglia, Anziani, Cooperative e Volontariato della Provincia autonoma, aiutandomi a ricostruire l’ingranaggio pubblico che sta dietro questi numeri. “Il nostro sistema si basa su tre pilastri che, messi insieme, producono il risultato. Nessuno dei tre, da solo, sarebbe sufficiente”.

In questo senso, la capacità fiscale e di spesa altoatesina è cruciale: la Provincia muove ogni anno 8,7 miliardi di euro, e quasi un miliardo finisce nella grande area sociale. Dentro questa cifra, le politiche familiari pesano in modo significativo: 84 milioni in trasferimenti diretti, 70 milioni per la rete dei servizi per i neonati tra 0 e 3 anni, tra 15 e 20 milioni in incentivi per le imprese che rendono più semplice la conciliazione famiglia-lavoro. In totale quasi 200 milioni l’anno, pari a circa il 2,3-2,5 per cento del bilancio provinciale.
Il primo pilastro è preventivo: rafforzare la famiglia prima ancora che nasca un bambino. La Provincia invia lettere informative ai genitori già in gravidanza, organizza consultori che accompagnano le coppie nei mesi più delicati e, al momento del parto, consegna uno zainetto con libri e materiali informativi nelle tre lingue ufficiali della provincia – tedesco, italiano e ladino: “È un gesto semplice per dire: non siete soli, qui le istituzioni sono un pezzo della rete, e soprattutto sapete che potete contare su di noi. C’è un grande consenso in tutti i partiti locali sul mantenere queste politiche, che durano da anni e non vengono cambiate in continuazione come quelle nazionali”, spiega Morandini. A questo si somma una condizione economica particolarmente favorevole. La Provincia autonoma di Bolzano è la seconda realtà italiana per reddito pro capite dopo Milano e, nel 2024, ha registrato un tasso di occupazione del 74,2 per cento, dodici punti in più della media nazionale, mentre la disoccupazione è al 2,0 per cento, contro il 6 per cento del paese nel complesso.



