Il custode dell’eredità dannunziana – Campanili n. 8
Intellettuale, battitore libero: come Giordano Bruno Guerri ha trasformato il Vittoriale
È eccessivo paragonare Giordano Bruno Guerri a Gabriele D’Annunzio. Tuttavia, visitando i suoi uffici al Vittoriale degli Italiani, si scorge, a tratti, il suo tentativo di rivendicarne l’eredità: nella stanza della sua segreteria è impossibile non notare un disegno a matita, incorniciato e appeso alla parete, nel quale sono raffigurati l’uno accanto all’altro il proprietario originale del Vittoriale e il suo presidente attuale. Non sfugge nemmeno una certa somiglianza fisica. Guerri, 73 anni, è il protagonista della rinascita della casa dove lo scrittore ha trascorso gli ultimi anni della sua vita, e che ha concepito come una vera e propria opera d’arte, estrema, esagerata, immaginata per colpire e divertire. Più che una villa, il Vittoriale è un complesso di edifici ben curato, cinto da mura e pieno di piccoli monumenti; le pareti dal colore giallo si alternano tra i vialetti che collegano le principali esposizioni, oltre alla casa principale, la Prioria, con i giardini che digradano dolcemente verso il Lago di Garda. Qui sono conservati migliaia di oggetti appartenuti a D’Annunzio, e catalogati negli anni, che rendono bene l’idea dell’eclettismo e del carattere fuori dagli schemi del suo ex proprietario: in fondo, il Vittoriale è un palcoscenico teatrale con il sipario sempre alzato, in cui si passa dall’antico al moderno, dai mobili cinquecenteschi alla Regia Nave Puglia, torpediniere in servizio durante la Prima guerra mondiale, che nel 1923 fu donata a D’Annunzio e incastonata all’interno della collina del parco, con la prua rivolta verso il lago e più simbolicamente verso l’Adriatico.
Guerri è considerato un intellettuale di centrodestra, ma è difficile classificarlo come “organico” all’attuale potere esecutivo: durante la formazione del governo Meloni, fu accostato al ministero della Cultura, ma al suo posto venne poi nominato Gennaro Sangiuliano, ex direttore del Tg2: “Credo ci fosse qualcuno, all'interno del governo nascente, che fece il mio nome. Ma il presidente del consiglio Giorgia Meloni sin da subito disse di volere una squadra coesa senza battitori liberi. E io sono un battitore libero, quindi…”, ha spiegato Guerri a ItaliaOggi nel gennaio dello scorso anno. Le sue posizioni molto aperte e favorevoli all’aborto, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e all’eutanasia ne avrebbero effettivamente fatto un ministro troppo dissonante: “Non mi pone problemi se mi definiscono di destra, perché per me la destra è la difesa dell’individuo, che è quello che mi sta più a cuore. Ma se mi dovessi definire direi che sono un libertario”, mi dice, mentre discutiamo nel suo ufficio in una caldissima giornata di inizio giugno. L’aria condizionata non c’è, e si sente. Forse è uno dei miglioramenti che devono ancora essere introdotti in quella che è diventata una macchina quasi perfetta.
Libertario, nel caso di Guerri, non vuol dire anarchico: è stata la sua concretezza a trasformare il museo nel piccolo gioiello che si può ammirare oggi: “Sono uno storico di formazione, ma ho avuto diverse esperienze manageriali, in particolare nell’editoria, come direttore editoriale di Mondadori”, spiega. Ma da dove nasce la passione per il Vate? Guerri inizia a interessarsi a Gabriele D’Annunzio per caso, durante la sua tesi di laurea su Giuseppe Bottai, gerarca fascista “critico” e personaggio affascinante per la sua storia: dopo aver firmato e difeso le leggi razziali e gli aspetti più duri del regime, comprende i suoi errori, è tra i protagonisti dell’ordine del giorno Grandi che destituisce il Duce il 24 luglio 1943, e decide poi di arruolarsi nella legione straniera francese per combattere in prima persona i nazisti: “Negli anni Settanta, durante i miei studi, venni al Vittoriale per cercare delle lettere e dei documenti. Fui sorpreso dalla decadenza della casa e del parco, ma restai molto affascinato da D’Annunzio. Decisi che avrei scritto una sua biografia”. Il libro ha richiesto quasi trent’anni di lavoro e di attesa, “ma non è che non ho fatto niente nel frattempo, ho studiato!”, ed è stato pubblicato nel 2008 da Mondadori. D’Annunzio. L’amante guerriero segna una svolta nella carriera professionale di Guerri: “Grazie a quel libro il ministro della Cultura dell’epoca, Sandro Bondi, mi offre la presidenza del Vittoriale. Io accetto, entusiasta, ma poi mi rendo conto di un problema: l’incarico è onorifico, ed è il motivo per cui il museo non funzionava. I precedenti presidenti non lo consideravano un vero lavoro”.