Campanili

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Cosa c’entra l’Italia con la sfida spaziale europea – Campanili n. 39

Dalla Toscana alla Sicilia, cinquemila lavoratori italiani saranno parte del nuovo colosso che punta a sfidare Elon Musk e la Cina nell’economia dei satelliti

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Francesco Maselli
e
NightReview
ott 25, 2025
∙ A pagamento
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Spesso attendiamo dalla politica i grandi scatti in avanti, quelli che dovrebbero portarci più vicino all’innovazione, alla competitività, a un’idea di futuro condiviso. La realtà dei fatti, però, racconta un’altra cosa: a volte sono i privati, le grandi aziende, a imporre i passi decisivi. Nel settore spaziale europeo questo scatto non è una scelta, ma un obbligo: senza, il rischio è restare definitivamente indietro rispetto a Stati Uniti e Cina in un mercato che nei prossimi anni sarà cruciale per telecomunicazioni, difesa e ricerca, e che secondo Goldman Sachs dovrebbe raggiungere i 108 miliardi di dollari di valore contro gli attuali 15.

È in questo contesto che tre colossi europei – Airbus, Leonardo e Thales – hanno deciso di unire le loro attività spaziali in una nuova società comune, che dovrebbe diventare operativa alla fine del 2027. Un progetto ambizioso, battezzato provvisoriamente Bromo, che metterà insieme 25 mila dipendenti e un fatturato di circa 6,5 miliardi di euro. Certo, i tre gruppi non sono attori puramente privati: Airbus è partecipata per l’11 per cento dal governo francese, per il 10,9 per cento da quello tedesco e per il 4,9 per cento da quello spagnolo; Leonardo ha come azionista di riferimento il ministero dell’Economia italiano con il 30 per cento; mentre lo Stato francese controlla direttamente il 25 per cento di Thales. La mano pubblica è inevitabile: gli Stati restano i principali clienti di questa tecnologia, che serve innanzitutto alla difesa e ai programmi istituzionali.

La forma scelta è indicativa: non un semplice accordo intergovernativo – dove ciascun paese mantiene gelosamente il controllo della propria agenda industriale – ma una società nuova, con un capitale condiviso e una governance integrata. È una logica diversa, che guarda a modelli già sperimentati in Europa. Airbus stessa nacque così, come un consorzio transnazionale poi trasformato in gruppo unico, e MBDA – il grande campione europeo nella costruzione missilistica – funziona esattamente allo stesso modo: una società mista tra Francia, Italia e Regno Unito che ha messo insieme competenze nazionali in un’unica struttura industriale. Sono vere e proprie aziende capaci di competere su scala globale nelle quali, nei limiti del possibile, eventuali differenze tra azionisti sono più semplici da risolvere.

E anche per i campanili italiani è una buona notizia: circa cinquemila dipendenti lavoreranno nelle fabbriche della penisola, in Toscana, Abruzzo, Lombardia, Piemonte, Sicilia e Lazio, con ricadute per l’indotto e per il sistema universitario, dato che si tratta di impieghi ad alto valore aggiunto.

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