La fine dell’epoca cristiana in Italia – Campanili n. 22
Pochi parroci, crollo dei sacramenti, partecipazione sporadica: perché gli italiani sono sempre meno legati alla Chiesa?
Utilizzare il concetto di “campanile” per racchiudere tutte le caratteristiche di questa newsletter, e il suo tentativo di raccontare una parte dei cambiamenti e delle particolarità dell’Italia di oggi, è un’idea abbastanza intuitiva: siamo un paese diviso in contrade e dialetti, policentrico, lungo, che si racconta forse fin troppo come disomogeneo e fratturato. Non è una caratteristica soltanto italiana, ma in nessuna lingua esiste una parola come “campanilismo” per definire uno dei nostri tratti nazionali. Su Wikipedia la voce è tradotta solo in cinque lingue, e tre sono italiane: la lingua nazionale e due dialetti, il veneto e il lombardo.
C’è poi la questione visiva: ogni piccolo centro ha la sua chiesa, e anche il panorama di quasi tutte le grandi città è scandito da una moltitudine di elementi architettonici che indicano la presenza delle campane. Finora, tuttavia, non avevo mai ragionato sul campanile come edificio, su chi lo fa funzionare e soprattutto sull’istituzione che vi sta dietro: è un’opera che diamo per scontata, così come la sua manutenzione e la sua funzione, mentre rappresenta anche la porta d’ingresso a una crisi forse sottovalutata.
La capillarità dei campanili era, fino a pochi anni fa, sinonimo di presenza ininterrotta della Chiesa cattolica, che soprattutto in provincia ha rappresentato un fattore fondamentale nella strutturazione della vita quotidiana. Il suo declino sta, invece, cambiando il volto delle città in modo piuttosto rapido: nel 1990 i preti diocesani in Italia erano 38.000, mentre nel 2020 il loro numero era sceso a 31.800, una riduzione del 16 per cento che nei prossimi anni accelererà. Senza i sacerdoti, molti campanili e chiese diverranno di difficile gestione, e forse toccherà ripensare a come utilizzare questi spazi, anche se la crisi delle vocazioni si interseca con la crisi demografica: l’utilizzo alternativo dello spazio e degli edifici in un paese spopolato, soprattutto nelle aree interne, sarà uno delle grandi questioni da risolvere nel prossimo futuro.
Di fronte alla diminuzione strutturale del “personale”, molte diocesi stanno iniziando a pubblicare studi e previsioni per attrezzarsi, e quantomeno avere chiara la dimensione del fenomeno. Nel 2023, don Martino Mortola e don Paolo Brambilla hanno scattato una fotografia della loro diocesi, ragionando sugli effetti della diminuzione della presenza dei parroci riassunta in un libro, Un popolo e i suoi presbiteri. La Chiesa di Milano di fronte alla diminuzione dei suoi preti (Ancora). Secondo le loro previsioni, i preti milanesi passerebbero dalle 1.737 unità del 2020 a circa un migliaio nel 2040, un calo dovuto al minor numero di seminaristi e all’età sempre più avanzata dei sacerdoti. Lo studio è relativo al capoluogo lombardo, ma descrive una tendenza nazionale che fa sorgere una domanda unica per tutto il paese: come può la Chiesa garantire una presenza capillare di fronte a questa crisi delle vocazioni?
Don Paolo Brambilla è sacerdote, ma anche docente di Teologia Trinitaria e Cristologia presso il Seminario Arcivescovile di Milano, e mi racconta che, a suo modo di vedere, la Chiesa italiana sta attraversando “un cambiamento profondissimo: la struttura ecclesiale è sproporzionata, molto più ampia rispetto ai nostri mezzi. È stata ereditata dal passato ma ora non regge più, ci sono troppi edifici e troppe attività per pochi operatori pastorali. È inevitabile ragionare sul modo migliore di affrontare il futuro”.