Il velista che vola sul mare – Campanili n. 26
La vela d’altura è ormai uno sport tecnologicamente avanzato e costoso. È dominato dai francesi, ma il più promettente velista italiano vuole rompere questo monopolio. Ritratto di Ambrogio Beccaria
Quando si immagina un velista pronto a compiere il giro del mondo in solitaria, viene naturale pensare a una persona spinta dall’avventura, dalla voglia di scoprire nuovi orizzonti ed emozioni, di vedere un’alba o un tramonto nel pieno dell’oceano. Per Ambrogio Beccaria tutto ciò conta, ma fino a un certo punto: “È la competizione che mi spinge, la gara. Lo faccio perché voglio vincere, non per girare il mondo”. A 33 anni, il navigatore italiano ha iniziato la preparazione per il Vendée Globe, il giro del mondo in solitaria più duro in assoluto, senza assistenza esterna e senza scali. Una sorta di Everest della vela che si tiene ogni quattro anni, il prossimo nel 2028, e che nessun italiano ha mai vinto. L’obiettivo di Ambrogio è chiaro: diventare il primo.
Seduto su una sedia da regista nello showroom Mapei di Milano, il suo nuovo e unico sponsor, Beccaria presenta davanti a un centinaio di persone, tutte un po’ sorprese nel vederlo asciutto e a terra, la barca con cui affronterà questa sfida. Siamo abituati a vederlo arruffato e bagnato sui social, mentre naviga o ripara la sua barca, seguito da un pubblico fedele ma ancora di nicchia: con l’eccezione di Giovanni Soldini, vero pioniere delle traversate in solitaria, la vela oceanica fatica a emergere in Italia. Preferiamo le derive olimpiche o le grandi imbarcazioni della Coppa America, che restano sotto costa. Le regate d’altura, invece, partono e arrivano altrove: soprattutto in Francia, che domina la disciplina sia a livello economico che sportivo. Uno degli obiettivi di Beccaria è cambiare la percezione e avvicinare il grande pubblico alla sua passione: l’accordo con Mapei, che lo seguiva già in collaborazione con Pirelli, mira anche a questo.
L’oceano è ciò che manca all’Italia per sviluppare questo genere di sport, e diventare davvero competitiva. Genova, forse la città italiana più marittima, difficilmente potrebbe diventare un centro nevralgico per la vela oceanica: “Mancano le condizioni marine, non c’è vento. È un posto drammatico per navigare”, sentenzia Beccaria. Ma anche per un rapporto complicato con il mare aperto, che ci è poco familiare in tanti aspetti, e l’aspetto competitivo è certamente uno di essi. Chi vuole davvero fare questo mestiere finisce per trasferirsi in Bretagna, dove il mare è difficile ma ideale: “Freddo, scontroso, pieno di alghe, con fondali che non si vedono. E poi le maree, un fenomeno a cui non siamo abituati. I turisti perdono auto e barche quando sale improvvisamente. A Mont Saint-Michel dicono che la marea sale alla velocità di un cavallo al galoppo: forse è un po’ troppo poetico ed esagerato, ma rende bene l’idea della forza dell’elemento al di fuori del Mediterraneo”, spiega il velista.




