Carcere, con Luigi Manconi – lessico di Campanili #5
La pena detentiva è connaturata al nostro sistema penale, ma è davvero l’unica strada?
Un luogo che ha acquisito rilevanza sociale solo verso la metà del diciottesimo secolo, diventando una struttura di espiazione delle pene. Oggi rappresenta un istituto che spesso è al centro del dibattito politico e che una parte della società civile vorrebbe abolire.
Carcere è la parola che abbiamo scelto il quinto episodio del podcast lessico di Campanili.
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Quella che segue è una trascrizione della conversazione, modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
Laura Cappon
Francesco, abbiamo scelto la parola “carcere” perché nell’ultima newsletter ci hai portato a Nisida, il penitenziario minorile di Napoli. Sei entrato nella struttura, hai parlato con gli operatori. Andare in un carcere per noi giornalisti è sempre un’esperienza molto particolare, quindi ti chiedo: qual è l’immagine che ti è rimasta impressa?
Francesco Maselli
Entrare in un carcere è sempre particolare e farlo in un istituto minorile lo è ancora di più perché, per fortuna, rispetto alle prigioni – famose per il loro sovraffollamento – i nostri istituti minorili sono meno sovraffollati e molto più umani. Forse ciò che mi ha più colpito è che all’inizio non sembra di essere in un carcere, ma in una scuola, c’è un campo da basket, ci sono i ragazzi che giocano nel cortile, un’atmosfera quasi rilassata; poi, però, alzi lo sguardo e vedi le sbarre e le dita che tengono tra indice e medio le sigarette. Ti rendi conto di dove sei. Però il fatto che la prima cosa che provi sia una sensazione di umanità in un contesto di grande difficoltà e di privazione della libertà rende l’idea dell’avanguardia del nostro sistema, che può contare su un codice minorile molto garantista che tende veramente alla rieducazione dei condannati, con tutti i limiti.
Laura Cappon
In questo episodio abbiamo invitato uno dei rappresentanti più autorevoli della cultura dei diritti nelle istituzioni, Luigi Manconi, sociologo, fondatore e presidente dell’Associazione a Buon Diritto, è stato sottosegretario al Ministero della Giustizia e senatore della Repubblica.
Professore, noi oggi parliamo di un’istituzione, quella carceraria, che è connaturata al nostro sistema penale. Per noi è normale, è scontato che esista il carcere. Però non è sempre stato così. La reclusione in un luogo fisico, immaginato esattamente per questo, è un’idea moderna, illuminista, prima non c’era. Come ci siamo arrivati?
Luigi Manconi
La detenzione all’interno di un luogo fisico chiuso, inizialmente aveva una durata circoscritta nel tempo, serviva semplicemente a tenere sotto controllo la persona che doveva essere giudicata, poi la pena per quella persona sarebbe stata in genere diversa dalla reclusione in un luogo chiuso. Ci si è arrivati attraverso un processo contraddittorio e controverso come tutti i processi di civilizzazione perché nasceva da un’intenzione virtuosa, ovvero quella di sostituire con la reclusione in una cella pene e punizioni assai più gravi, più crudeli, in genere consistenti nell’esilio o, con notevole frequenza, con l’esecuzione capitale. La detenzione appariva come una soluzione con elementi di maggiore umanità. Nei fatti, poi, è successo che si è trasformata nel suo opposto, cioè si è tradotta in una pena che chiude ogni ipotesi di emancipazione, nega ogni ipotesi di educazione e si risolve nell’afflizione massima e in un processo di disumanizzazione del condannato.
Laura Cappon
Nella newsletter che ha preceduto questo episodio, Francesco ha raccontato il carcere di Nisida, però se parliamo di carceri minorili non possiamo non ignorare quello che è accaduto al Beccaria di Milano. Sono delle violenze inaudite, eppure il nostro sistema penitenziario per i minori è sempre stato un’eccellenza a livello europeo. Questo episodio, secondo lei, è un caso isolato o un segnale che anche questo sistema sia sulla via del declino?
Luigi Manconi
C’è da evidenziare un dato: tutte le prigioni per adulti o per minori tendono a precipitare in quella che prima chiamavo la disumanizzazione del condannato del recluso. Tutte tendono verso questa deriva. Certo, possono intervenire riforme intelligenti e razionali, si possono immaginare soluzioni che rendano il carcere meno crudele di quello che è oggi e che diano alla reclusione un suo senso, ma ciò che può impedire a un carcere per adulti o per minori di precipitare nella situazione disumana di cui parliamo è la vigilanza, uno sguardo dall’esterno che riesca a penetrare oltre quelle mura. In Italia una certa, reale capacità di vigilare e controllare esiste, nel senso che all’interno delle carceri possono entrare per legge i parlamentari nazionali, i parlamentari regionali, le associazioni di volontariato e da una ventina d’anni i garanti dei diritti dei detenuti. Questa rete di osservatori e di vigilanti contrasta in qualche modo la separatezza del carcere, impedisce al carcere di precipitare in un buco nero.
Ma questa capacità di osservare e vigilare nel corso degli ultimi decenni si è esercitata assai meno nei confronti degli istituti per minori, che sono stati confinati in un territorio ancora più ignoto di quello che accoglie le carceri per adulti. Questo è il punto, cioè non si è pensato che un’attenta osservazione dell’Istituto per minori Cesare Beccaria o dell’Istituto per minori di Torino potesse essere esercitata per impedire le tragedie che vi si stanno consumando.
Francesco Maselli
Dalla fine del 2019 alla fine del 2020, dopo le misure adottate durante la pandemia, le presenze in carcere erano calate di 7.405 unità. Ma sono subito tornate a crescere. A fine marzo 2024 i detenuti erano 61.049 in 51.178 posti, una crescita media di 331 unità al mese. Qual è la soluzione?
Luigi Manconi
La soluzione è in realtà tanto semplice quanto difficile da realizzare. Il sovraffollamento non è la sola causa di questa condizione drammatica delle carceri, ma sicuramente è il fattore che accentua e accelera, acutizza e precipita la situazione. Il carcere è come un grande corpaccione umano afflitto da una febbre altissima. Su questo corpaccione, poi, si registrano tante patologie che vanno affrontate secondo una strategia di riforme, ma se a quel corpaccione che è il sistema penitenziario non fai calare la febbre e, fuor di metafora, non fai calare in maniera drastica il numero delle presenze, non potrai nemmeno intervenire sulle altre patologie che il carcere presenta. Per capirci, se tu non diminuisci il numero dei reclusi non potrai far funzionare meglio il sistema sanitario delle carceri. Se non riduci il numero dei reclusi non potrai far funzionare, per esempio, il sistema scolastico interno, non potrai provvedere in generale a tutti i servizi che un istituto penitenziario può offrire e deve offrire.
Francesco Maselli
Al sovraffollamento è spontaneo associare i suicidi. Nel 2023 sono almeno 70 le persone che si sono tolte la vita all’interno di un penitenziario, nei primi mesi del 2024 siamo già a 30. Nel 2022 c’è stato il record, però venivamo da un momento di riduzione, perché durante il Covid i numeri si sono ridotti. Che cos’è successo? Perché in questo momento storico c’è questo aumento dei suicidi?
Luigi Manconi
Penso che la sensazione principale che avvertono coloro che si trovano all’interno del carcere sia di trovarsi in una condizione senza scampo. Questo è l’elemento a mio avviso essenziale, senza scampo, senza via d’uscita, senza alternative, di trovarsi in una spirale che non ha soluzione, che si avvita su se stessa, peggiorando costantemente tutti gli elementi della vita quotidiana. Si deve tener presente che in quegli stessi primi mesi del 2024 si sono tolti la vita in carcere o, nei locali che al carcere fanno riferimento, 3 poliziotti penitenziari e che i suicidi tra i poliziotti penitenziari sono stati circa 100 tra il 2010 e il 2020. È un dato che con mia enorme sorpresa continua a non essere né preso in considerazione e né analizzato, ma nemmeno citato. Ne deduco che il carcere come istituzione, quindi quel sistema chiuso, quell’istituzione totale, è per sua stessa natura criminogeno e patogeno, cioè produce e riproduce all’infinito crimini e criminali e produce e riproduce all’infinito patologie, psicosi, depressione, autolesionismo e suicidi. Tutto ciò vale per chiunque, custodi e custoditi. E da questo ricavo la convinzione che tendenzialmente il carcere vada abolito e che vada utilizzato esclusivamente per quella percentuale ridotta, circa il 10 per cento secondo le autorità carcerarie, di individui socialmente pericolosi.
Laura Cappon
Infatti lei è tra gli autori di un libro che si intitola, appunto, Abolire il carcere. Nella prefazione il giurista Gustavo Zagrebelsky scrive: “È possibile che l’umanità che ha fatto tanti progressi in tanti campi delle relazioni sociali non sia riuscita a immaginare nulla di diverso da Gabbie, Sbarre e Celle”. Insomma, per lei quindi può esistere un paese senza carcere. Come sarebbe?
Luigi Manconi
Abbiamo provato a immaginare con grandissimo realismo e con una serie di provvedimenti concreti, leggi ad hoc, misure tangibili, un sistema delle pene diverso dalla cella chiusa. Posso fare dei semplici esempi, suffragati da numeri incontestabili e inequivocabili. Il 30 per cento dei detenuti del nostro sistema penitenziario si trova in carcere in custodia cautelare. Nei paesi simili al nostro, Spagna, Francia, Inghilterra, Germania, la percentuale di persone in attesa di processo e di sentenza è del 15 per cento, il che vuol dire che senza eccessivo sforzo si potrebbe già da ora, senza nessuna riforma radicale, eliminare un 15 per cento della popolazione detenuta. Inoltre, all’interno delle nostre galere oltre il 30 per cento dei detenuti sono in attesa di giudizio o sono condannate per violazione del testo unico della legge sulle sostanze psicotrope: in larga parte si tratta di tossicodipendenti che dovrebbero stare ovunque tranne che in carcere. Abbiamo già abbassato di molto i numeri non imponendo rivoluzioni né cambiamenti radicali.
Laura Cappon
Cosa bisognerebbe fare con chi invece è condannato per reati molto gravi, mafia, omicidi, stragi?
Luigi Manconi
Secondo le autorità del sistema penitenziario solo il 10 per cento dei detenuti è socialmente pericoloso. Ebbene, per questo 10 per cento, poco più di 6.000 persone sulle attuali 60.000, la civiltà giuridica non ha saputo trovare un mezzo diverso della cella. Accettiamo realisticamente questo dato e quindi le rispondo dicendo che per quelle persone non ci può essere diversa destinazione che il carcere e le sue celle. Tuttavia, di fronte a questo ci sono decine di migliaia di persone che potrebbero ricevere una sanzione diversa. Ancora un dato, in Germania oltre il 50 per cento dei condannati deve scontare una pena pecuniaria che varia non solo in relazione alla gravità del reato, ma anche in relazione al suo stato patrimoniale. In Italia all’opposto si tratta solo del 18 per cento dei condannati. Come si vede, dunque, la nostra ipotesi è estremamente realistica, si basa su dati concreti, e fa riferimento a modelli che vengono applicati in molti paesi europei e che mostrano una grande efficacia. Purtroppo in Italia esiste un senso comune anche giuridico, cioè che appartiene anche a una fetta consistente della magistratura e in generale dei giuristi, che riesce a concepire la pena solo come reclusione all’interno di un’istituzione totale dentro un sistema di coercizione della vita quotidiana.
Francesco Maselli
Quando si discute di questo argomento, i temi ricorrenti sono però la costruzione di nuove carceri o l’introduzione di nuovi reati. Mi sembra che l’opinione pubblica italiana vada da molto tempo, per la verità, in una direzione differente rispetto a quella che lei stava descrivendo: lei ha fatto politica, senza l’opinione pubblica questo genere di riforme sono impossibili. C’è un partito, il Movimento 5 Stelle, che ha proprio nel suo DNA una visione punitiva della giustizia, Fratelli d’Italia non è molto diverso.
Luigi Manconi
È vero, esiste un’opinione pubblica che esprime un’idea tutta vendicativa e di revanscismo sociale e penale ed esiste una classe politica che da questa si fa indicare la linea politica e il programma penale. È difficile anche individuare qual è il punto di partenza, quale sia l’uovo e quale sia la gallina, se l’opinione pubblica italiana sia particolarmente attraversata da pulsioni giustizialiste, o se sia la classe politica italiana a esprimere una cultura schiettamente reazionaria, tesa all’esercizio della brutalità della pena. Detto con parole rapide e un po’ grossolane: manettara. La realtà è di tutt’altra natura. Nel 1992, gli omicidi volontari in Italia erano oltre 1700. Nel 2023 gli omicidi volontari in Italia sono stati meno di 300. Ma aggiungo che anche gli altri reati che costituiscono la massima fonte di allarme sociale come rapine, scippi, sono diminuiti, con poche eccezioni. Nonostante questo, la sicurezza resta ai primissimi posti nelle preoccupazioni che esprimono i cittadini italiani. Vuol dire che c’è un’alterazione, una deformazione acuta della percezione della realtà. Questo per certi versi è inevitabile. Ma qui ecco il punto: manca quel ruolo di orientamento che la politica, gli intellettuali e i media dovrebbero svolgere.
Laura Cappon
Professore, siamo partiti in questo episodio dalla parola “carcere” e quindi le chiedo: questa parola per lei ha anche un significato personale?
Luigi Manconi
Be’, volendo addirittura biografico. Mi è capitato per ventura, per volontà del destino, di essere concepito all’interno di una colonia penale, quella dell’Asinara, della quale mio padre era il medico. Io e tre mie sorelle siamo stati lì concepiti e poi trasportati d’urgenza a Sassari per nascere nell’ospedale locale, ma abbiamo trascorso i primi anni della nostra infanzia in una colonia penale, dove i detenuti si muovevano in maniera notevolmente libera e portavano a me golosissimo i fichi d’India che quell’isola produceva in grande quantità. Un segno nella mia vita che si è manifestato singolarmente proprio nei miei primi anni.
Francesco Maselli
Ringraziamo il professor Luigi Manconi per essere stato con noi.
Laura Cappon
Francesco, aspettiamo una nuova storia, un nuovo reportage che arriverà con il prossimo numero della newsletter. Grazie per essere stato con me in questo episodio.
Francesco Maselli
Grazie Laura, alla prossima.
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