Egemonia, con Giacomo Papi – lessico di Campanili #8
L’essere riconosciuti come intellettuali, l’influenza, la lotta di classe: cos’è la cosiddetta “egemonia culturale” oggi?
Per il filosofo Antonio Gramsci indicava un sistema di concetti culturali e morali che una classe sociale imponeva alle altre per esercitare potere e controllo. Oggi è ancora un termine che pervade il dibattito sulle istituzioni culturali che sono parte del nostro sistema democratico.
Egemonia è la parola che abbiamo scelto l’ottavo episodio del podcast lessico di Campanili.
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Quella che segue è una trascrizione della conversazione, modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
Laura Cappon
Francesco, abbiamo scelto la parola “egemonia” partendo dalla definizione di egemonia culturale, coniata da Antonio Gramsci, perché nell’ultima newsletter hai fatto un lungo ritratto di Giordano Bruno Guerri, che è il presidente ma soprattutto il fautore del successo del Vittoriale, la villa-museo sul Lago di Garda dove Gabriele D’Annunzio ha trascorso gli ultimi anni della sua vita. D’Annunzio è un nome di riferimento della cultura di destra, e lo stesso Guerri è uno degli uomini di punta della dirigenza culturale del governo Meloni. Ti chiedo: chi sono le persone che scelgono di visitarlo?
Francesco Maselli
Innanzitutto sono molte: dal 2008, il Vittoriale ha raddoppiato i visitatori, erano circa 150 mila e oggi sono circa 300 mila. Credo che siano in gran parte turisti, e anche scuole, perché negli ultimi anni D’Annunzio ha effettivamente avuto una nuova giovinezza, anche grazie al lavoro di Giordano Bruno Guerri. È diventato un personaggio, uno scrittore, un intellettuale più consensuale, meno controverso, insomma. Non è più legato a quell’idea di essere semplicemente il precursore del fascismo. Anzi, quest’idea di D’Annunzio è stata sfatata: lui detestava i fascisti, non aveva un buon rapporto con Mussolini, che infatti lo temeva particolarmente. Di sicuro, ha fornito alcune impressioni ed espressioni retoriche al fascismo, però non possiamo considerarlo un intellettuale cardine del regime.
Laura Cappon
Per approfondire la parola “egemonia” abbiamo invitato Giacomo Papi, che da sempre ha diviso la sua carriera tra letteratura, giornalismo ed editoria. Scrive per Il Post, di cui cura la sezione Storie/Idee, la Repubblica, Il Foglio. È autore televisivo e oggi dirige il Laboratorio Formentini della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori. Ha scritto diversi libri. L’ultimo romanzo è uscito poche settimane fa per Feltrinelli, e si intitola La piscina.
Francesco Maselli
Giacomo, come prima domanda comincerei proprio dal titolo: cos’è l’egemonia culturale oggi e come si è evoluta negli anni? Questa definizione è ancora vicina a quella gramsciana oppure oggi intendiamo un concetto diverso?
Giacomo Papi
È molto diversa, tanto che il concetto stesso di “egemonia culturale” oggi è molto problematico: esiste una egemonia culturale di fatto che passa attraverso i media, i giornali e i libri in primo luogo, ma rispetto a inizio Novecento i veicoli per influenzare la cultura sono esplosi, tanto che forse oggi bisognerebbe parlare di “egemonie culturali”. E c’è chi pensa di non averla, di volerla conquistare: la destra al potere, per esempio, ha una sorta di invidia dello status che essere intellettuale ed essere riconosciuto come tale conferisce. Sottovalutano, però, che lo status non basta a influenzare le persone: le televisioni di Berlusconi influenzavano più di qualsiasi libro.
Francesco Maselli
Il tuo ultimo libro è un giallo ma anche un romanzo che si può definire storico, politico e sociale: la bolla delle classi più agiate si intreccia a quella delle persone meno abbienti, innescando una sorta di lotta di classe dal sapore noir. Ci racconti un po’ com’è nata l’idea di inserire un tema sociale in un impianto narrativo di questo genere?
Giacomo Papi
Volevo un po’ sperimentare questa forma del giallo classico a porte chiuse, alla Agatha Christie: c’è un morto in un castello e bisogna capire chi l’ha ucciso. Nel giallo classico, la lotta di classe e lo scontro tra classi è sempre presentissimo, non a caso si dice che l’assassino è il maggiordomo. Ciò che mi interessava, oltre all’intreccio, gli intrighi e tutti gli elementi che definiscono il genere, era cercare di raccontare un tema, di cui mi sembra oggi si siano perse le tracce. L’altro giorno in metropolitana a Milano ho visto questa pubblicità dell’ATM (l’azienda di trasporto pubblico milanese, ndr) che dice: “Noi crediamo nel valore della diversità”. Ecco, una volta si sarebbe detto noi crediamo ai valori dell’uguaglianza, perché l’uguaglianza assorbe tutte le diversità. Se tutti siamo uguali, allora tutti diversi diventano uguali, in quanto a dignità e a possibilità. Mentre oggi l’accento è sui diversi. Allora ho messo in scena questo giallo dove, a un certo punto i servitori, prendono il potere, un espediente che mi ha permesso di creare una situazione paradossale proprio per cercare di capire se i ricchi e i poveri esistono davvero, se entrano in collisione gli uni con gli altri, e se questa collisione ha una funzione politica oppure è sedata. Credo che il denaro e la ricchezza ci definiscano ancora, e mi sembra un tema poco analizzato nella pratica politica, anche da sinistra. Mi sembra che si insista ormai più sulla diversità che sull’uguaglianza.
Laura Cappon
Noi oggi parliamo di egemonia culturale, un termine gramsciano e tu invece parli di lotta di classe, termine entrato nella vulgata grazie alle opere di Karl Marx. Ti chiedo: esiste ancora il concetto di classe sociale e, se sì, esiste una classe sociale dominante oggi in Italia che esercita una sorta di egemonia culturale dei nostri giorni?
Giacomo Papi
Gramsci inventa il concetto di egemonia culturale proprio in funzione antimarxista: per l’intellettuale italiano Marx ha sbagliato a prevedere che la rivoluzione sarebbe avvenuta nei paesi più industrializzati, e non in Russia, che è un paese agricolo, perché aveva sottovalutato il peso che ha la cultura nel produrre la rivoluzione. Per Marx agisce solo il fattore economico, mentre Gramsci è convinto che anche il fattore culturale sia importantissimo, ed è convinto che in Italia vada fatto un lavoro in questo senso per sostituire l’egemonia culturale borghese con quella proprietaria. Per farlo, gli intellettuali devono diventare organici al popolo, raccontare il mondo per come appare al popolo, un programma che il PCI ha perseguito in maniera scientifica.
Nel tempo, tuttavia, questo programma ha incontrato dei limiti: i mass media arrivavano a un pubblico sempre più ampio di quello che gli intellettuali potevano raggiungere, e c’è un pubblico più ampio di quello dei libri, perché c’era la radio, perché c’erano le riviste, perché è arrivata la televisione, perché sono arrivati il cinema, i fumetti, i fotoromanzi. Quando Berlusconi ha investito nelle televisioni commerciali all’inizio degli anni Ottanta, si è capito che c’era un popolo irraggiungibile per gli intellettuali, ma pronto invece ad applaudire Ok, il prezzo è giusto!. Questo ha provocato anche un grande scorno nella sinistra, una certa rabbia nei confronti del popolo: ma come, noi siamo qua e ti raccontiamo il mondo come dovrebbe apparirti e tu guardi Drive In?
Quindi, per tornare alla tua domanda, esiste ancora il concetto di classe sociale? Sì e no. Le classi sociali di fatto esistono, esistono le persone che nascono in condizioni di un certo tipo, che frequentano scuole di un certo tipo, e anzi sono ancora impermeabili, non entrano in contatto con chi sta ai margini e vive in periferia o fuori dalle grandi città. Però non esistono gruppi omogenei di persone con interessi economici affini, che si riconoscono come classe. Cioè, quell’insistere sul valore della diversità, invece che sul valore dell’uguaglianza, ha fatto sì che ognuno di noi si concepisca come un individuo unico con interessi unici.
Francesco Maselli
Il centrodestra ha proprio rivendicato di condurre una battaglia per l’egemonia culturale. Il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano dice di volerla conquistare, perché storicamente nelle mani della sinistra. Ma è vero? Oppure è un espediente retorico e, in realtà, maschera semplicemente lo spoils system che c’è sempre, a ogni cambio di governo?
Giacomo Papi
A me sembra frustrazione, invidia e, appunto, status. Come se volessero rivendicare a loro stessi uno status di intellettuale, di intellettuale autorevole, che non gli è mai stato riconosciuto. Quindi da un lato c’è lo spoils system, ma la mia sensazione è che questo governo persegua in maniera consapevole e intenzionale un programma di conquista dell’egemonia culturale, rifacendosi a quello che aveva fatto Mussolini sotto il fascismo, che ha prodotto una cultura molto importante in Italia. Non è vero che l’ha solo soffocata, l’ha proprio teorizzata, finanziata. Dopo settant’anni di emarginazione, gli eredi di quella tradizione, e non intendo dire che sono fascisti, ma che vengono da quella tradizione, vogliono dire al mondo, all’Italia: anche noi siamo intellettuali, anche noi siamo autorevoli.
Mi sembra, tuttavia, che ci sia un problema di personale politico, nel senso che di intellettuali non ce ne sono poi così tanti. E poi, la mia sensazione è che inseguono un fantasma di egemonia culturale, ma non vogliono influenzare il popolo attraverso la cultura perché sanno benissimo che per conquistare il consenso bisogna fare “il diario di Giorgia” su Instagram, e non un editoriale su Prezzolini.
Laura Cappon
A proposito di stampa. Se osserviamo cosa sta accadendo nei giornali, negli ultimi anni abbiamo visto diversi cambiamenti: la famiglia De Benedetti che ha venduto il gruppo L’Espresso, con La Repubblica che è passata alla famiglia Elkann. Di recente l’agenzia dell’Eni, l’Agi, è stata messa in vendita e ha ricevuto l’interessamento di Angelucci, parlamentare della Lega, che già possiede i quotidiani Il Tempo, Libero e Il Giornale. Queste dinamiche, secondo te, stanno producendo dei cambiamenti nella società, oppure – visto il calo di copie – la carta stampata non ha più un ruolo così importante nel forgiare l’opinione pubblica e, invece, come dicevi, valgono più i social e altri mezzi di comunicazione?
Giacomo Papi
I giornali perdono copie, ma hanno un effetto indiretto, dettano spesso l’agenda alla televisione, continuano a essere una delle principali fonti di notizia e di polarizzazione dell’opinione pubblica. È, quindi, importante conquistare e poi parlare alle classi dirigenti. Angelucci non è pazzo, sa benissimo che conquistando quei giornali riesce a parlare e ad avere un potere. I giornali sono in sé un nucleo di potere, però, certamente, non svolgono più il ruolo egemonico e quasi monopolistico che hanno svolto in passato.
Francesco Maselli
Peraltro, a proposito di influenza, diciamo anche per smontare un po’ la rivincita di Sangiuliano, la destra ha sempre avuto un presidio culturale: Mediaset e Mondadori sono di proprietà della famiglia Berlusconi. Insomma, forse l’egemonia di sinistra era presente negli anni Settanta, ma non certamente nella Seconda Repubblica. O sbaglio?
Giacomo Papi
Ma certo! Poi, voglio dire, Bruno Vespa finge di aver partecipato alla resistenza sui monti, ma è in televisione dal 1968 tutte le sere. La destra in Italia ha avuto da sempre una rappresentazione a seguito al consenso elettorale che ha riscosso. La sinistra ha avuto certamente un’egemonia culturale nelle case editrici e in alcuni giornali, un’egemonia che arrivava dalla maggiore autorevolezza intellettuale e culturale, perché ha praticato una cultura più legata alla parola scritta, meno forse diffusa di altre forme di comunicazione, però più autorevole e centrale.
Laura Cappon
Spesso la sinistra è stata accusata di non avere un programma, di essere conservatrice, di battersi per proteggere delle cose che esistono già, per esempio lo Statuto dei lavoratori. Tu cosa ne pensi? Pensi che la sinistra abbia veramente perso la sua attitudine progressista che ha avuto nei decenni precedenti?
Giacomo Papi
Da un lato sì, cioè il mondo che cambia, che si impoverisce, quello che ti resta da fare è cercare di resistere al cambiamento conservando le conquiste e i diritti che avevi conquistato in tempi di crescita, di espansione. E quindi è vero che la sinistra in questi anni ha puntato molto sulla difesa dei diritti acquisiti, si diceva una volta. È un’attitudine più di resistenza che di speranza, è più di conservazione che di progresso, non c’è niente da conquistare, c’è qualcosa da difendere. E, invece, su questo un lavoro politico-culturale andrebbe condotto per cercare di rivedere il futuro, di immaginarlo. C’è una generazione di ragazzi che sente di vivere nel periodo peggiore della storia umana. La storia è stata fatta altre volte di momenti tragici e preoccupanti, eppure si pensava che si potesse migliorare. Oggi no, ed è da qui forse che nasce la conservazione.
Francesco Maselli
Forse il vero cambiamento culturale a cui stiamo assistendo è quello interno alla destra: in Italia non abbiamo mai avuto una forza di destra conservatrice, il fascismo era un movimento rivoluzionario, il berlusconismo era incentrato sull’ottimismo, sul futuro, sulla “rivoluzione” (ancora) liberale. Meloni, invece, dice apertamente di essere una conservatrice… cosa ci racconta questa novità?
Giacomo Papi
Io userei un’altra parola che è reazionario. Più che alla conservazione, che ormai appartiene alla sinistra, io come base del consenso della destra vedo la reazione. La parola “reazionario” nasce dall’idea di reagire a un mondo che, invece, nei fatti sta cambiando. È una cosa che quando lo dico mi accorgo sempre di avere reazioni un po’ stupite, per non dire infastidite, ma di fronte all’emancipazione delle donne, per esempio, che è evidente, c’è un revanscismo che è proprio di chiusura e di maschilismo stupido. Ci dimentichiamo sempre che ciò che è in atto è l’epoca in cui viviamo, ed è anche un’epoca che sta andando verso il futuro.
Laura Cappon
Giacomo, noi oggi abbiamo scelto la parola “egemonia” per l’episodio di questo podcast, quindi ti chiedo: che significato personale, o legato alla tua professione, ha questo termine per te?
Giacomo Papi
Forse coincide un po’ con la libertà. Cioè, se mi stai chiedendo cos’è l’egemonia, come si conserva quell’egemonia, che poi abbiamo detto è autorevolezza intellettuale, è cercare di mantenere un’indipendenza di giudizio, di avere un pensiero che non aderisca a una parte o un’altra. Delle volte, come credo che si sia sentito in questa conversazione, può essere disturbante per chi ha idee diverse, ma va bene così. Ho forse meno pubblico, perché oggi vediamo che spesso l’adesione alle frange è un moltiplicatore di ascolto, ma personalmente tendo a non aderire a nessuna parte precostituita.
Francesco Maselli
Ringraziamo Giacomo Papi per essere stato con noi oggi.
Laura Cappon
Grazie Francesco.
Francesco Maselli
Grazie Laura, alla prossima.
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