Industria, con Emma Marcegaglia – lessico di Campanili #3
Com’è cambiato il tessuto produttivo italiano negli ultimi dieci anni? Dopo la pandemia, è tornata una politica industriale?
Nella storia, ha trasformato l’economia mondiale, e ha creato una nuova classe sociale che ha segnato il Novecento. Per l’Italia è un elemento identitario del territorio.
Industria è la parola che abbiamo scelto per il terzo episodio del podcast lessico di Campanili.
Ascolta il podcast su tutte le piattaforme: Spotify – Apple – Amazon
Quella che segue è una trascrizione della conversazione, modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
Laura Cappon
Oggi abbiamo con noi una terza conduttrice, anzi direi un po’ conduttrice, un po’ ospite, che ha firmato con Francesco l’ultimo numero della newsletter di Campanili, ed è la giornalista Camilla Conti.
Camilla, abbiamo scelto la parola “industria” perché con Francesco avete raccontato in che modo i distretti industriali italiani, in particolare quelli legati all’automotive, stanno soffrendo la stagnazione dell’economia tedesca. Ti occupi di economia da tanto tempo, e quindi ti chiedo: questo rallentamento della Germania era prevedibile?
Camilla Conti
Era prevedibile anche perché è in corso un profondo cambio di paradigma imposto a livello generale dalla geopolitica, dalle nuove direttive europee sulla transizione ecologica, ma anche dalla trasformazione del tessuto sociale. Lo abbiamo verificato sul campo parlando con gli imprenditori, la Germania in questo momento è come sospesa, non ha più un rapporto privilegiato con la Russia, non può permettersi di averne uno con la Cina, non ha la tecnologia necessaria per essere un colosso alla pari con gli Stati Uniti e Pechino, e non ha nemmeno le armi per fare la voce grossa. In tutto questo, se si ferma la locomotiva d’Europa, che finora è sempre stata la Germania, si fermano anche quei treni connessi alla locomotiva tedesca, ovvero i treni di alcuni distretti italiani.
Francesco Maselli
In questa lunga analisi abbiamo provato a rispondere a una domanda che ci facciamo spesso: quanto sono effettivamente collegati i distretti italiani del nord nelle famose catene del valore tedesche? La risposta è che sono strettamente connessi, e quindi le avvisaglie sono immediate. Tutto ciò pone a queste imprese delle sfide anche per cercare nuovi mercati. Probabilmente quella dalla Germania è una dipendenza inevitabile per come sono strutturati e composti i nostri distretti industriali, ma vederli da vicino fa capire anche com’è possibile che l’Italia, nonostante tutti i problemi che raccontiamo sempre, sia ancora oggi l’ottava economia del mondo.
Laura Cappon
In questo episodio abbiamo deciso di approfondire la parola “industria” con Emma Marcegaglia, imprenditrice alla guida di uno dei maggiori gruppi industriali italiani. È stata anche presidente di Confindustria dal 2008 al 2012, e oggi presiede il B7, l’engagement group riservato al mondo delle imprese collegato al G7.
Presidente, iniziamo dal tema di cui parlavamo un attimo fa: la stagnazione tedesca e il rapporto con l’economia italiana. Se questa crisi si protrarrà, che rischi ci sono per le nostre imprese?
Emma Marcegaglia
La Germania è il principale mercato di sbocco per moltissime imprese, quindi i rischi sono evidenti. Siamo spesso fornitori delle imprese tedesche che, a loro volta, sono grandi esportatrici. Nel 2023 la Germania è stata in recessione, quest’anno dovrebbe andare leggermente meglio, ma le previsioni mostrano ancora un rallentamento, e questo potrebbe impattare sulla crescita italiana, rallentando anch’essa. Una cosa interessante, però, è che negli ultimi anni le aziende italiane hanno diversificato di più i loro mercati geografici, mentre prima la dipendenza dalla Germania era enorme un po’ in tutti i settori. Adesso molte aziende italiane esportano negli Stati Uniti, in Asia e cominciano a farlo in Arabia Saudita, nei paesi del Golfo. La dipendenza dalla Germania resta, ma è in calo. D’altra parte, noi stessi abbiamo un’economia maggiormente diversificata, mentre la Germania è ancora molto concentrata sull’automotive. Noi siamo forti nell’automotive, ma lo siamo anche nell’elettrodomestico, nell’energia, nell’agricoltura, nei mobili e nella metallurgia.
Francesco Maselli
Dopo il Covid, lo Stato è tornato presente nell’economia italiana con numerose forme di sostegno al sistema produttivo. Che conseguenze hanno avuto questi interventi sul modo di fare industria in Italia? È tornata una politica industriale?
Emma Marcegaglia
Nel momento in cui abbiamo vissuto un evento straordinario e drammatico come la pandemia, era necessario che arrivasse supporto alle imprese e alle famiglie con denaro direttamente dallo Stato. Questo tipo di intervento è stato fatto un po’ in tutto il mondo. Poi abbiamo avuto un ulteriore shock con la guerra, in particolare in Europa e in Italia: la Russia e l’Ucraina erano per noi anche grandi fornitori di gas e di molte materie prime. La guerra ha aumentato ulteriormente i costi per le imprese, ci sono stati problemi anche nelle cosiddette catene del valore, nei trasporti. Quando ci sono shock di questo tipo è normale che ci siano aiuti di Stato. Osserviamo a livello mondiale avanzare sempre di più temi come la sicurezza nazionale, l’autonomia strategica, che portano alla chiusura dei mercati e provocano un maggiore ruolo dello Stato nell’economia. Questa è una dinamica normale per un breve periodo, ma se dovesse prolungarsi, potrebbe minare le regole del mercato, quindi bisogna trovare una sorta di nuovo equilibrio. Non dobbiamo esagerare con il ruolo dello Stato nell’economia.
Camilla Conti
Il cambio di paradigma a cui, per necessità, dobbiamo adeguarci era proprio quello che emergeva dalle nostre chiacchierate con gli imprenditori. E anche il tema della diversificazione è stato sottolineato da qualcuno dei nostri intervistati.
Emma Marcegaglia
L’anno scorso l’Italia si è attestata su una crescita dello 0,9 per cento, quando l’area Euro ha realizzato uno 0,5 per cento. Si tratta comunque di crescite non sufficienti, se ci paragoniamo per esempio agli Stati Uniti, che sono cresciuti del 2,5 per cento. Però, l’Italia è quella che forse ha fatto meglio in Europa. Il nostro export ha continuato a essere molto forte: negli ultimi anni, le quote di mercato delle imprese italiane sui mercati globali non sono calate, quelle delle aziende tedesche e francesi invece sì. Perché? Uno dei motivi è proprio quello che dicevamo prima: la diversificazione. Noi siamo anche molto attenti a cogliere i nuovi paesi emergenti e questo dà un vantaggio, vale per il paese ma vale anche per la singola azienda. Credo che la diversificazione dei nostri settori, insieme a una grande capacità di adattamento, sia una forza che le imprese italiane hanno.
Francesco Maselli
Ma quindi questa dimensione contenuta, piccola, delle aziende italiane è davvero un punto di forza oppure è solo un luogo comune? Spesso si dice che non sono abbastanza grandi per essere fino in fondo competitive. Dove sta la verità?
Emma Marcegaglia
Questa agilità è una caratteristica un po’ di tutto il sistema imprenditoriale italiano, anche delle imprese medio-grandi. La mia azienda l’anno scorso ha fatturato 9 miliardi di euro, quindi si può definire medio-grande anche a livello europeo. Però, abbiamo questa flessibilità nel nostro DNA, l’abbiamo mantenuta anche crescendo. E non siamo gli unici. Ci sono anche altre grandi imprese, spesso a gestione familiare, che hanno mantenuto una catena decisionale corta. Poi ovviamente l’Italia è caratterizzata ancora da molte piccole imprese. Tuttavia, negli ultimi sette o otto anni si nota una crescita delle dimensioni medie. Poi, bisogna considerare che tante piccole aziende sono organizzate in reti d’impresa, in distretti, quindi sembrano molto piccole ma lavorano insieme ad altre, facendo progetti di ricerca, per esempio. Con queste reti, anche le aziende di piccola dimensione riescono a essere più efficienti, più competitive. Certo, la competizione è dura e spinge tutti a essere un po’ più grandi. Alcune statistiche evidenziano come le imprese con una dimensione un po’ maggiore che lavorano nelle catene del valore internazionale sono quelle che normalmente hanno risultati migliori.
Laura Cappon
Lei ha la presidenza del B7, quali sono le tre priorità che porterà al tavolo?
Emma Marcegaglia
Il primo tema è proprio quello delle catene del valore, cioè la necessità di trovare un nuovo equilibrio tra i temi di sicurezza nazionale, che ovviamente interessano anche le aziende. Per esempio, il fatto che quasi tutte le materie critiche siano concentrate in Cina. È necessario che il G7 lavori per avere altri paesi in cui andare a rifornirsi. Il secondo tema è quello della trasformazione energetica, della lotta al cambiamento climatico. Per noi è certamente importante, però il modo in cui lo sta facendo l’Europa non è quello giusto: vorremmo al centro non solo regole, ma la neutralità tecnologica. Non deve essere l’Europa a scegliere quale tecnologia usare, l’Europa deve solo porre un obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2, poi lo si fa in tutti i modi, non solo con l’auto elettrica, ma anche con i motori ibridi, magari usando dei carburanti bio o quelli che si chiamano fuels. E per fare questa trasformazione tecnologica servono moltissimi investimenti, quindi bisogna anche capire dove prendere i soldi. Il terzo tema è quello dell’intelligenza artificiale. Anche qui, noi diciamo che è importante regolamentare, però stiamo attenti a non fare il solito errore europeo dove si regolamenta tanto e poi magari si perde l’opportunità di nuove startup, di tutto quello che l’IA può portare anche in termini di produttività, di crescita per le imprese. Serve equilibrio e se dobbiamo fare le regole, cerchiamo di non farle a livello italiano, a livello europeo, ma cerchiamo il più possibile di lavorare a livello sovranazionale, perché altrimenti rischiamo ancora una volta di avere mercati tutti sezionati tra loro.
Camilla Conti
Ha parlato di tecnologia e del tema dell’intelligenza artificiale. Anche con gli imprenditori con cui abbiamo parlato, il tema dell’innovazione è emerso come qualcosa di fondamentale. Come immagina l’integrazione dei sistemi di cloud e di intelligenza artificiale con i processi di produzione industriale? Potrebbe farci un esempio concreto?
Emma Marcegaglia
Molte aziende stanno ragionando su come applicare l’intelligenza artificiale nelle proprie imprese. Uno dei temi discussi nel B7, con i vari ministri dell’innovazione, è quello di rendere accessibile l’IA anche alle piccole imprese, per non creare un gap tra chi magari ha la possibilità di fare investimenti e chi no. Penso che l’IA possa essere utile in moltissimi modi: per esempio, nella nostra azienda la stiamo utilizzando per avere maggiore efficienza energetica, risparmiare energia o materie prime; o anche per lavorare meglio sulla sicurezza, per ottenere tutta una serie di software o di sensori che aiutano ad avere massima sicurezza sul lavoro. L’IA può davvero rivoluzionare il modo di fare impresa, però sono necessarie anche le competenze. Spesso oggi le imprese fanno fatica a trovare persone con competenze digitali, gente che sa maneggiare temi relativi alla cybersecurity o che sa come approcciare il quantum computing.
Francesco Maselli
Ricollegandomi a ciò che diceva sull’energia. Noi dobbiamo fare la grande transizione verso l’elettrico. Ma ci sono sistemi, come le macchine di apprendimento automatico, che consumano moltissima energia. Lei è stata Presidente di Eni dal 2014 al 2020. Non crede che questo tema del consumo energetico sia un po’ sottovalutato? Avremo in futuro abbastanza capacità per sostenere l’industria energivora, le abitazioni, gli edifici pubblici, le macchine che dovranno ricaricarsi alle colonnine?
Emma Marcegaglia
Il tema della transizione energetica è importantissimo, ma è necessaria una politica industriale che consideri tutti gli aspetti. Dobbiamo ridurre le emissioni di CO2, ma anche tenere presente che la domanda di energia aumenterà. Bisogna essere molto pragmatici e avere un mix energetico. Quindi certamente le rinnovabili, però serve, per esempio, anche il nucleare di quarta generazione. Oggi si parla di impianti molto più piccoli dove il problema della scoria è ridotto. Addirittura l’Eni, insieme all’MIT di Boston, è stata la prima a studiare la fusione nucleare, non la fissione che è quella usata oggi.
Francesco Maselli
Però di questo saremo in grado di parlarne tra quindici anni. A noi serve adesso.
Emma Marcegaglia
Sì, però, se non iniziamo con la ricerca, non ci arriveremo mai. Ci sono già alcuni progetti pilota negli Stati Uniti. Voglio dire, è talmente straordinaria questa transizione che non possiamo fare una sola cosa, dobbiamo cercare di utilizzare tutte le tecnologie possibili. Quindi sì l’elettrico, ma non basta, servono il nucleare, le rinnovabili, l’efficientamento energetico, i biocarburanti, la cattura della CO2, tutte le tecnologie a disposizione.
Camilla Conti
Lei è stata presidente di Confindustria, e ha visto l’economia italiana in un momento di profonda crisi economica, sia delle imprese che dello Stato, vicinissimo al default. Come vede cambiato il tessuto produttivo italiano da quando ha lasciato l’incarico?
Emma Marcegaglia
Ho presieduto Confindustria dal 2008 al 2012, quindi durante la crisi finanziaria e poi la crisi del debito sovrano. Non che quelli più recenti siano stati particolarmente buoni, però tutto quel periodo è stato drammatico, una crisi profonda, e il paese rischiò il default. Sono stati anni in cui il sistema produttivo italiano è mutato, è cresciuto in parte per dimensione, nei prodotti a valore aggiunto, nella diversificazione sia dei prodotti ma anche dei mercati. Per esempio, la famosa iniziativa Industria 4.0, che è stata portata avanti alcuni anni fa, ha cambiato moltissimo le imprese italiane: hanno fatto automazione, sono diventate più efficienti, più produttive. In questi dieci anni, tutto il sistema è diventato sicuramente più forte, più diversificato e più resiliente.
Laura Cappon
Con questo episodio abbiamo aggiunto la parola “industria” al nostro Lessico di Campanili. Data la storica azienda che rappresenta, questa parola ha per lei un significato anche personale?
Emma Marcegaglia
Per me, sicuramente. Ma in generale vale anche per le imprese che nascono piccole, familiari e legate ai territori. La mia è un’azienda fondata da mio padre 65 anni fa. Siamo molto cresciuti, però il campanile in senso positivo, cioè l’attaccamento al proprio territorio, alle proprie persone, ai propri valori, è rimasto. Ed è una delle grandi forze del sistema industriale italiano. L’industria che ha radici forti nel territorio e che cerca di conquistare il mondo è l’industria migliore, ed è anche quella in grado di resistere nel lungo periodo.
Francesco Maselli
Ringraziamo moltissimo Emma Marcegaglia per averci aiutato ad approfondire meglio questo tema. Grazie mille, Presidente.
Laura Cappon
Francesco, cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo numero di Campanili?
Francesco Maselli
Sarà un numero un po’ diverso. Non sarà un reportage, bensì un ritratto di uno scrittore, grazie al quale racconteremo anche il legame con la sua città di nascita.
Laura Cappon
Intanto, ringraziamo Camilla Conti per essere stata con noi in questo episodio. Camilla, torna a trovarci quando vuoi.
Camilla Conti
Grazie a voi per l’invito. E viva Campanili!
Se hai dei suggerimenti su tematiche da affrontare e/o dritte di ogni tipo, scrivimi pure sui miei account social. Se vuoi informazioni sull’abbonamento scrivi a: info@nredizioni.it