Lavoro, con Francesca Coin – lessico di Campanili #10
Salario minimo, smart working, settimana corta: com’è cambiato il rapporto tra gli italiani e il lavoro negli ultimi anni?
Per l’articolo 1 della nostra Costituzione è uno degli elementi fondativi della Repubblica italiana. È da sempre sinonimo di dignità ma anche di lotte per i diritti sindacali. Scandisce il nostro tempo e per generazioni ha anche definito la nostra identità.
Lavoro è la parola che abbiamo scelto per il decimo episodio del podcast lessico di Campanili.
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Quella che segue è una trascrizione della conversazione, modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
Laura Cappon
Francesco, nell’ultimo numero della newsletter ci hai raccontato un’abitudine granitica degli italiani, fenomeno, tra l’altro, ampiamente narrato anche dalla nostra letteratura e dal nostro cinema: le ferie ad agosto. Dietro a questa consuetudine che – tu ci ricordi nel tuo racconto – fu definita “provinciale” dall’ex AD della Fiat Sergio Marchionne, si cela in realtà un insieme di caratteristiche della nostra società: dal funzionamento della nostra economia, alla percezione del tempo degli italiani. Ti chiedo, allora, siamo ancora così “provinciali”?
Francesco Maselli
Relativizzerei la sfuriata di Marchionne, che aveva l’abitudine di andare nelle università e bacchettare alcune tradizioni italiane. Siamo provinciali fino a un certo punto, nel senso che in Europa quasi tutti i paesi hanno dei momenti in cui si lavora molto meno e sono tendenzialmente d’estate. In Italia e in Francia si parla di agosto, ma nei paesi del nord Europa accade a luglio. Quello che metteva in evidenza Marchionne non era tanto la questione individuale, ma il fatto che è proprio il sistema a fermarsi, quindi ci sono delle aziende che ad agosto semplicemente chiudono, e ciò vale per molti uffici pubblici, il Parlamento ad agosto si ferma, non ci sono più sessioni. Marchionne stigmatizzava questa abitudine, e nel suo caso parlava della Fiat che è una multinazionale che chiudeva a fronte di concorrenti che invece restano aperti.
Esiste però anche una questione di utilità, cioè tutti prendono le ferie ad agosto perché tutto si ferma ad agosto e quindi è più comodo, inutile che lavori quando non lavorano gli altri. Nella newsletter ho cercato di spiegare da dove viene questa abitudine, quali sono le sue ragioni e ce ne sono, e ho cercato anche di spiegare come sta evolvendo negli ultimi anni: una parte dei dipendenti italiani è meno incline a prendere tre settimane ad agosto, però la grande maggioranza di lavoratori italiani continua a farlo e probabilmente continuerà. Così provinciali non siamo, non siamo gli unici che lo fanno.
Laura Cappon
Per approfondire la parola lavoro abbiamo invitato Francesca Coin, una sociologa che da tempo si occupa di questo tema e delle sue implicazioni sociali. Insegna al Centro di competenze, lavoro, welfare e società della Supsi, in Ticino, Svizzera. Scrive su Internazionale e L’Essenziale. Per Einaudi, nel 2023, ha pubblicato Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita.
Francesco Maselli
Francesca, iniziamo proprio dalla parola che abbiamo scelto, cioè il “lavoro”. Com’è cambiato il rapporto tra gli italiani e il lavoro negli ultimi anni? È diversa la percezione che abbiamo di questo momento fondamentale della nostra vita?
Francesca Coin
Questa è una domanda interessante che si pone chi si occupa di lavoro, perché quando parliamo di relazione delle persone con il lavoro entriamo in una sfera spesso difficile da misurare. Notiamo, però, piccoli sintomi che indicano che questa relazione sia cambiata. Sicuramente quello che si può dire è che dopo la pandemia tutta una serie di studi, accompagnati dall’esperienza quotidiana di molte persone, portano a galla come le politiche degli ultimi trent’anni abbiano allontanato le persone dal lavoro. Per “allontanato” intendo dire che le aspettative che un tempo si riponevano sulla capacità del lavoro di portare realizzazione personale, di portare un futuro allineato ai propri desideri, sono molto ridimensionate.
Il Censis, nel rapporto dello scorso anno sul welfare aziendale, rileva che poco più del 70 per cento delle persone oramai si relaziona al lavoro in modo strumentale e utilitaristico, e che quindi cerca dal lavoro sostanzialmente dei soldi che consentano loro di fare altro. Questo è in netta contrapposizione rispetto a quanto avveniva una generazione fa, quando nel lavoro si cercava un’identità, un senso di sé, un progetto per il futuro e per la propria famiglia, quando il lavoro era appunto il perno della vita personale.
Francesco Maselli
È una questione però ancora presente? A me stupisce sempre quando dei “grandi vecchi” del giornalismo o della politica non abbandonano e continuano a lavorare, dirigere, candidarsi anche dopo i 75 anni. Magari c’è proprio una divisione generazionale.
Francesca Coin
Questo è un altro punto molto affascinante, perché da un lato nei mestieri intellettuali è vero che si vede, diciamo così, una resilienza dei più anziani, più anziani maschile plurale, molto spesso a rimanere nei loro luoghi…
Francesco Maselli
Be’, anche le anziane, anche le donne anziane sono sempre lì.
Francesca Coin
Forse, però è vero anche che la questione di genere esiste, i ruoli apicali non sono mai stati distribuiti ugualmente a cavallo della linea di genere. Purtroppo la situazione lavorativa di uomini e donne è ancora profondamente diversa. Però, per tornare alla tua domanda, se poi andiamo a vedere come cambia la relazione al lavoro, vediamo che questa non risente così tanto come ci viene detto della questione generazionale. Per esempio, se andiamo a guardare gli abbandoni del lavoro o la disaffezione al lavoro, vediamo che questa aumenta al ridursi del livello di istruzione, del livello salariale, non risente delle diversità generazionali. È proprio la contropartita, il riconoscimento economico e sociale del lavoro a fare la differenza nella disaffezione.
Laura Cappon
Nel tuo libro racconti che “è cresciuta l’indisponibilità a sottostare a regole tossiche e vessatorie che numerosi contesti lavorativi impongono”. Abbiamo già parlato di questo cambio di approccio, io aggiungerei anche che il calo d’affezione, secondo me, può arrivare anche a causa del fatto che in alcuni contesti, nel lavoro intellettuale, per esempio, le opportunità di carriera, siano sempre meno. C’è un cambio di approccio, appunto, però quando pensi sia avvenuto, c’è un momento che possiamo individuare come punto di svolta?
Francesca Coin
Ricordo che già negli anni Novanta negli Stati Uniti si discuteva della fine della fedeltà, quell’idea che il lavoro ti restituirà un’identità e un ruolo. Questa fedeltà al lavoro si è sgretolata negli ultimi trent’anni, la pandemia probabilmente ha segnato una discontinuità definitiva rispetto al passato e questo un pochino avviene proprio per le ragioni che dicevi, cioè che in molti casi il sacrificio richiesto alle persone, ma anche le ore di lavoro, l’impegno, questa sottolineatura sul merito, la performance, non ha una contropartita adeguata in termini salariali e di potere d’acquisto. Vale anche per l’autonomia professionale, che è sempre più ridotta, e la situazione, per molti, non è più sostenibile, soprattutto perché investe professioni che in passato erano molto protette: pensiamo al giornalismo, oggi è un mondo con retribuzioni a cottimo sempre più diffuse, il lavoro metalmeccanico è molto più stabile e sicuro. Una situazione impensabile nel passato.
Francesco Maselli
Ma c’è anche forse qualche sforzo delle imprese in questo senso, proprio per andare incontro a dei dipendenti che non sono più soddisfatti? Mi riferisco alla settimana corta o alla flessibilità sul posto di lavoro, sta cambiando anche la volontà delle aziende di provare a tenere i lavoratori più bravi con questo tipo di concessioni, che sono diverse da quelle monetarie ovviamente, però fanno parte della qualità della vita?
Francesca Coin
In alcuni casi sì, la diffusa carenza di personale è stata un po’ controintuitiva perché da tempo sentiamo parlare della fine del lavoro, ma esiste, e le imprese si stanno adattando. Le aziende più grandi o più illuminate stanno cercando delle modalità di trattenere appunto il personale sui luoghi di lavoro, anche perché il turnover è molto costoso, sostituire un dipendente che lascia può costare anche quattro volte il salario di chi si è dimesso, perché chiaramente gli abbandoni influiscono anche sul morale dell’azienda e sulla produttività. È qui che il tema della settimana corta a parità di salario sta trovando un àncora, finora specialmente nelle grandi aziende, quelle più strutturate, che negoziano con i sindacati delle modalità di organizzazione diverse. Ma ciò accade anche nei piccoli esercizi: in Svizzera, dove lavoro, in molti hanno introdotto un giorno di chiusura in più nei momenti meno affollati della settimana, risolvendo così il problema della perdita di personale. Queste sono tutte sperimentazioni vitali, nel senso che ci mostrano proprio la direzione nella quale il mondo del lavoro dovrebbe andare da qui ai prossimi anni.
Francesco Maselli
C’è un’evoluzione anche sui salari? Gli stipendi sono fermi da trent’anni in Italia. Ora che abbiamo una grande domanda e un’offerta rarefatta, dobbiamo attenderci una pressione verso l’alto?
Francesca Coin
In Italia questa tendenza non c’è ancora, soprattutto se paragoniamo la nostra situazione con quella degli Stati Uniti, dove però c’è comunque un contesto di alta inflazione, quindi a livello di potere d’acquisto il balzo dei salari è stato relativo. In questo senso, credo sia sano e necessario un dibattito sull’introduzione del salario minimo, anche se il tentativo di introdurlo non è andato a buon fine. Nel nostro paese forse dobbiamo ancora decidere: i bassi salari sono una soluzione alla bassa competitività del paese o sono un problema? Perché, purtroppo, più volte si è fatto intendere che i salari bassi fossero una modalità di competere in un’economia internazionale che ha investito molto di più dell’Italia in ricerca, innovazione e sviluppo. E in Italia questa miopia, se vogliamo, politica, è stata compensata da una compressione del costo del lavoro.
Laura Cappon
Possiamo dire che siamo siamo davanti a un paradosso: abbiamo il 7,6 per cento di lavoratori poveri e allo stesso tempo ad aprile abbiamo segnato il record di occupazione. Com’è possibile?
Francesca Coin
È possibile in vari modi, perché si è parlato molto di record di occupazione e non si è parlato altrettanto o a sufficienza della qualità di quell’occupazione. Quello che vediamo è una trasformazione del tessuto produttivo italiano che, in particolare negli ultimi mesi, ha visto uno spostamento della crescita dal settore manifatturiero al turismo, quindi alla ristorazione, all’accoglienza. Sono settori poveri, in cui c’è molto lavoro sommerso. Dico questo perché un’altra statistica degli ultimi anni, dopo la pandemia, dice che si è ridotto il numero delle ore lavorate. Allora noi stiamo guardando un cambio qualitativo che va da settori più tutelati ad alto valore aggiunto, a settori meno qualificati, come quello turistico.
Un altro dato profondamente inquietante, e legato a questo fenomeno, è che se andiamo a guardare il record di occupati, all’interno della definizione di “occupato” c’è anche personale in cassa integrazione fino a tre mesi. Quello che abbiamo visto nell’ultimo anno è una crescita record delle casse integrazioni, dovuta anche a un aumento dei settori delle aziende in difficoltà a causa dell’aumento del costo dell’energia, del denaro e dei trasporti. Quindi abbiamo aziende in difficoltà che stanno delocalizzando o sono a pericolo insolvenza che inevitabilmente fanno richieste di cassa integrazione. Rispetto ai dati sull’occupazione vediamo, quindi, un paese molto più in difficoltà sul lungo periodo, con un ridimensionamento di settori innovativi, una deindustrializzazione spinta in alcune zone del paese e un generale aumento della precarietà.
Francesco Maselli
L’altra cosa che ti volevamo chiedere è la differenza di percezione del lavoro tra le diverse città italiane, tra le grandi metropoli come Milano, che è iperproduttiva, dove essere workaholic è quasi uno status, e le realtà più piccole dove invece magari c’è un approccio al lavoro più rilassato. Ecco, l’idea di come possa cambiare l’approccio al lavoro a seconda dell’ambiente in cui ti trovi è destinata ad aumentare?
Francesca Coin
Probabilmente è destinata ad aumentare, perché la differenza di costo della vita in zone differenti d’Italia, non voglio dire a parità di salario ma quasi, è sempre più profonda. La città è sempre più insostenibile per fasce sempre più ampie della popolazione, questo anche alla luce della crescita del costo degli affitti delle case. E dunque il divario si acuisce, in una tendenza che forse non si invertirà, perché la crescita del turismo e dell’utilizzo del patrimonio immobiliare per gli affitti brevi avrà un impatto inevitabile sul potere di acquisto di chi in città deve vivere per lavorare. La riflessione su dove vivere, su dove potersi permettere di vivere sarà sempre più presente perché aumenterà la differenza tra costo della vita nelle città e nelle zone più periferiche.
Laura Cappon
Francesca, noi oggi abbiamo scelto la parola “lavoro” per l’episodio di questo podcast, ti chiedo quindi che significato personale ha questo termine per te?
Francesca Coin
Per me ha un significato abbastanza contraddittorio, nel senso che riconosco alla fine nel lavoro, ma in particolare nel lavoro libero, una grandissima forza creativa. Tuttavia, vedo anche che le condizioni nelle quali lavoriamo sono sempre più insostenibili. Quindi per me, e mi riferisco alla mia esperienza personale, è ormai sinonimo di grande contraddizione. Ho un grande amore per la ricerca, un grande amore per la scrittura, forse proprio l’amore per la scrittura è la cosa che caratterizza di più la mia vita, però contemporaneamente faccio molta fatica ad accettare regole prescrittive di come un certo lavoro deve essere fatto. A volte mi sembra addirittura che alcune regole nuocciano alla qualità del lavoro. Dopo la pandemia c’è stata la tendenza a dire “amo il mio lavoro, ma detesto la mia occupazione” che mostra proprio il fatto che c’è la possibilità di amare quello che si fa, ma non come ci viene richiesto di farlo.
Francesco Maselli
Ringraziamo Francesca Coin per essere stata con noi in questo episodio di lessico di Campanili.
Questo è stato l’ultimo episodio del podcast podcast e i reportage della newsletter proseguono ogni due settimane. Ringrazio tantissimo Laura Cappon che ha condotto insieme a me questi dieci episodi, che sono stati in larga parte pensati da lei.
Laura Cappon
Grazie Francesco, è stato un piacere.
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