Vigna, con Jacopo Cossater – lessico di Campanili #2
Quanto è campanilista il settore del vino in Italia? Abbiamo 545 vitigni, e vigneti in ogni provincia. Questa varietà è un vantaggio o un limite?
Per gli antichi sumeri era un’icona di immortalità. Per il Corano era una creazione di Satana. Non c’è popolo che nella storia non le abbia attribuito un significato mistico. Un terreno che ospita una delle piante più antiche del mondo. Un simbolo del paesaggio mediterraneo e della nostra identità.
Vigna è la parola che abbiamo scelto per il secondo episodio del podcast lessico di Campanili.
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Quella che segue è una trascrizione della conversazione, modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
Laura Cappon
Francesco, abbiamo scelto la parola “vigna” perché sei stato nelle Langhe dai produttori di Barolo, che è uno dei vini più famosi al mondo. Hai raccontato un aspetto particolare: come i produttori stanno fronteggiando il cambiamento climatico. C’è qualche aneddoto che non hai inserito nel reportage?
Francesco Maselli
Mi è capitata una serata inaspettata. Dopo aver visitato alcune cantine e parlato con i vignaioli, sono andato a cena in un ristorante della zona. Ho ordinato da mangiare e un calice di Barolo, e mentre mi guardavo attorno mi sono accorto che c’erano quattro persone al tavolo di fronte al mio che stavano degustando dei vini “alla cieca”, cioè senza sapere che vino fosse, tirando a indovinare. Dopo un po’ mi sono avvicinato, gli ho spiegato che stavo lavorando a un reportage sulle Langhe e sul cambiamento climatico, e mi hanno immediatamente fatto posto. È stata una serata un po’ magica, quasi un cliché: vai in uno dei luoghi iconici del vino italiano e trascorri tre ore a bere e parlare di Barolo e Barbaresco con quattro persone del settore che mi hanno insegnato un sacco di cose, oltre a darmi vari consigli per il pezzo che stavo scrivendo. Una situazione quasi da film, viverla è stato abbastanza divertente.
Laura Cappon
In questo episodio abbiamo deciso di approfondire la parola “vigna” con
, giornalista, cofondatore del magazine semestrale Verticale, che da anni racconta il mondo del vino.Francesco Maselli
Jacopo, noi immaginiamo l’Italia come nazione di grandi vini, come un luogo dove non soltanto si producono moltissime bottiglie, ma soprattutto prodotti di gran qualità. Ma è sempre stato così?
Jacopo Cossater
No, anche se sicuramente il successo del vino italiano si basa su delle fondamenta particolarmente solide. L’Italia ha vissuto un’accelerazione fortissima a partire dagli anni Novanta. Anzi, direi che questo fenomeno è iniziato nel 1986, l’anno dello scandalo del metanolo, un grande caso di cronaca che ebbe inizio in Lombardia e in Piemonte: si scoprì che alcuni imbottigliatori usavano il metanolo, un prodotto dannoso per la salute, per alzare la gradazione dei vini. Fa abbastanza sorridere, col senno di poi, pensare che ci fosse la necessità di alzare il grado alcolico quando oggi si cerca di fare l’esatto opposto. Allora, a causa del metanolo, ci furono 19 morti, oltre 150 persone rimasero intossicate anche con conseguenze molto gravi come la perdita della vista. Ecco, da quel momento, c’è stata una stretta sia dal punto di vista legislativo sia dal punto di vista del processo produttivo.
Laura Cappon
Ci sono differenze di prezzo abissali tra una bottiglia di vino e l’altra. Cosa beviamo quando compriamo un rosso da 6 o 7 euro al supermercato e quando invece compriamo una bottiglia da 80 euro? Quanto incide il processo di vinificazione o il marketing nel costo della bottiglia?
Jacopo Cossater
Riuscire a porre un limite di spesa per la produzione di una bottiglia di vino non è facilissimo. Sicuramente quando si supera una certa soglia, c’è chi dice oltre i 30 o 35 euro e chi oltre i 50 euro, non stiamo più pagando il costo di produzione, ma anche altro. Però anche la produzione stessa di una bottiglia può variare tanto in base alle condizioni del vigneto: è relativamente economico produrre un vino in pianura, perché la lavorazione può essere meccanizzata, mentre farlo in quelle vigne molto scenografiche, penso a quelle in Liguria, che si affacciano sul mare, ripidissime e difficili da lavorare, è molto più caro. Per esempio, fa aumentare le ore di lavoro per ettaro.
Il valore aggiunto, invece, credo derivi da due grandi fattori. Il primo è il brand della cantina, quindi la capacità di posizionarsi sul mercato. Il secondo è il valore percepito della denominazione, quindi quando si tratta di grandi denominazioni italiane come Barolo o Brunello di Montalcino, sicuramente queste portano un valore aggiunto e fanno sì che la bottiglia abbia un costo più elevato. Immaginate di essere un produttore di vino e che uno dei vostri obiettivi sia aumentare il fatturato dell’azienda. Generalmente le strade che si possono prendere sono due: o si produce più vino o lo si vende a un prezzo maggiore. Entrambe le soluzioni non sono di immediata realizzazione perché per aumentare la produzione bisogna fare grandi investimenti in termini di spazi, macchinari, vasche. Per aumentare il prezzo medio della bottiglia bisogna, invece, investire molto sul marketing, quindi aumentare la percezione del valore del proprio prodotto. Quest’ultima è la strada che porta più risultati nel lungo periodo perché il valore resiste nel tempo, però è molto difficile da percorrere. In sostanza, penso che il percepito sia fondamentale e questo vada di pari passo con la qualità del vino.
Francesco Maselli
A proposito di prezzi, esiste una differenza profonda rispetto alle zone di produzione e al percepito. Parliamo dei due principali produttori che sono Francia e Italia, che hanno però differenti specificità. Nel 2022, l’Italia ha esportato nel complesso 7,87 miliardi di euro di vino per 21,9 milioni di ettolitri; la Francia ha esportato vino per 12,28 miliardi di euro, con 13,9 milioni di ettolitri. Cioè, circa metà delle esportazioni e quasi il doppio del valore. Come mai?
Jacopo Cossater
Nel mercato dei vini fermi, quindi dei vini bianchi e rossi, il vino francese viene venduto in media a un prezzo leggermente più alto. Ma la vera grande differenza la fa lo Champagne. Anche se l’Italia è il più grande produttore di vini spumanti al mondo, in quanto produce il Prosecco, declinato nelle sue tre denominazioni, il prezzo medio al litro dei vini spumanti francesi è straordinariamente più alto. Il prezzo di un litro di vino spumante in Francia arriva a sfiorare i 20 euro, mentre in Italia non arriva a 5 euro.
Laura Cappon
Nel 2023 c’è stato un calo dell’export italiano, soprattutto verso alcuni paesi chiave come Stati Uniti, Cina e Giappone. Dati alla mano però c’è un altro paese a est, l’India, che lo scorso anno ha registrato un aumento del 500 per cento dell’importazione di vino. Può essere un nuovo mercato per le aziende italiane?
Jacopo Cossater
Direi di sì, ma c’è sempre una grande incognita. Hai nominato l’India, ma penso anche alla Cina, mercato che negli ultimi anni è sempre stato osservato con particolare curiosità e interesse da parte del mondo del vino italiano, e non solo. In paesi così grandi, con così tanti abitanti, basta una piccola percentuale di consumatori che si avvicina al vino, per far impennare il numero relativo all’import. Tuttavia, sono mercati non consolidati, quindi molto suscettibili al prezzo delle bottiglie, guardano al costo della singola bottiglia e l’Italia è un paese che produce vino come tanti altri, come Australia o Argentina, e Francia ovviamente. Il grande lavoro che va fatto in questi mercati è insegnare a questi “nuovi consumatori” il valore del vino e perché dovrebbero spendere di più per una bottiglia di vino rosso italiano o francese rispetto a una bottiglia di un qualsiasi Cabernet Sauvignon. Il punto è proprio far comprendere l’unicità del luogo di produzione: a Montalcino si produce Brunello, non Sangiovese, a Barolo si produce Barolo, non Nebbiolo.
Francesco Maselli
Prima ci parlavi delle differenti denominazioni che, definite per legge, impongono il cosiddetto “disciplinare di produzione”. Ci puoi spiegare che cosa sono e perché sono importanti i disciplinari?
Jacopo Cossater
I disciplinari di produzione non sono altro che un insieme di regole decise dai produttori che si trovano in una determinata area geografica, e che vengono applicate all’interno di confini condivisi. Questo permette che ci sia grandissima autoregolamentazione. Pur con qualche imperfezione o qualcosa di migliorabile, sono uno strumento straordinariamente efficace per produrre un vino, e soprattutto per raccontarlo.
Francesco Maselli
Il disciplinare è anche legato alle condizioni climatiche. Alcuni vini hanno bisogno di molto tempo prima di essere messi sul mercato: penso al Brunello di Montalcino, circa cinque anni dopo la vendemmia, o al Barolo, circa quattro. Questo è dovuto alle condizioni del clima che c’erano quando i disciplinari sono stati introdotti, nel secolo scorso: col cambiamento climatico potrebbero mutare?
Jacopo Cossater
Sicuramente i disciplinari cambiano, nel senso che basta che i produttori decidano di chiedere una modifica all’interno delle regole previste e questa può essere accolta. Il cambiamento climatico è il grande tema, quello di gran lunga più importante con cui il vino si sta confrontando in questi anni. È chiaro che i disciplinari che prevedevano limiti di altitudine per le vigne possono essere rivisti, permettendo quindi di coltivare vigneti più in alto sul livello del mare, e che quindi maturano più tardi o permettono di portare freschezza ai vini. Ma queste sono cose relativamente piccole che possiamo fare da un anno all’altro. Oggi nessuno sa veramente cosa accadrà tra venti o trent’anni.
Laura Cappon
A causa del riscaldamento climatico potrebbe diminuire anche la produzione?
Jacopo Cossater
Non lo so. Sicuramente ci sono zone, per esempio, a rischio di desertificazione, in cui la quantità di pioggia diminuirà sempre di più. Al tempo stesso, ci sono anche nuove zone che si affacciano alla produzione, penso alla regione della Stiria in Austria, che senza gli effetti del cambiamento climatico oggi non produrrebbe vini complessi e interessanti perché le uve raggiungono una maturazione completa. Dieci o venti anni fa non accadeva perché il clima era troppo freddo.
Laura Cappon
Infatti, ci sono anche noti brand di Champagne che stanno investendo nel sud dell’Inghilterra. Come immagini la mappa dell’enologia tra cinquant’anni?
Jacopo Cossater
Chi avrebbe mai detto che avremmo potuto assaggiare un vino danese o un vino svedese. I vini inglesi stanno diventando sempre più interessanti. Quindi sì, le mappe si sposteranno sempre più a nord, a livello di latitudine, oppure sempre più in altitudine sul livello del mare.
Francesco Maselli
Questo progetto si chiama Campanili. Vorrei chiederti, quanto è campanilista il mondo del vino? In Italia abbiamo 545 vitigni, cioè tipi di uva, la coltivazione della vite avviene in ogni provincia del nostro territorio, mentre in Francia ci sono pochi vitigni e poche zone vitate, in quanto sono state fatte scelte un po’ centraliste come da loro tradizione. Ma questa ricchezza ampelografica italiana è un vantaggio o un limite? Esiste un “sistema Paese” legato al settore oppure ognuno va un po’ in ordine sparso?
Jacopo Cossater
Direi che questa ricchezza è un vantaggio perché ci permette di attingere a una quantità di vini diversi, ed è straordinariamente stimolante. È chiaro che per uno straniero sia molto complicato avvicinarsi al mondo del vino italiano proprio per questa grande varietà. Però c’è da dire che basta aprire un manuale del WSET, che è la più importante scuola al mondo di formazione sul vino, per accorgersi di quanto, in realtà, poi le cose siano semplificabili. In Italia abbiamo, vado a memoria, poco più di 400 denominazioni tra DOC e DOCG; in Francia ce ne sono 300, quindi non poche. Ma l’effetto che abbiamo è la percezione di ricordare solo le francesi più importanti, che sono anche quelle che producono più vino, quindi per esempio le denominazioni di Bordeaux, le più famose della Borgogna, la Champagne, che abbiamo già nominato. Non è molto diverso da ciò che accade per l’Italia, perché all’estero il numero di denominazioni italiane che ricordano non sono poi tante, di sicuro quelle più popolari, quelle che hanno un maggior successo nell’export.
Laura Cappon
Possiamo affermare, quindi, che c’è del campanilismo anche sulle zone e sulle rivendicazioni di nomi e marchi? Penso alla diatriba tra il vino nobile della zona di Montepulciano in Toscana e i produttori abruzzesi di Montepulciano. Sono due vini totalmente diversi che però si contendono il nome. Ci sono altri casi simili?
Jacopo Cossater
Negli ultimi due decenni siamo diventati un po’ troppo sensibili all’argomento. Esistono denominazioni che hanno giustamente preteso e ottenuto protezione, come lo Champagne francese, che fino a qualche decennio fa veniva copiato per esempio in Russia e in California, dove era possibile comprare uno Champagne che non aveva niente a che vedere con il vino che abbiamo in mente noi. Un’altra cosa è, però, fare delle vere e proprie battaglie di campanilismo come quella di tanti anni fa tra il Tocai ungherese e il Tocai friulano, che infatti oggi ha cambiato nome e si chiama semplicemente “friulano”, mentre quello ungherese è il solo Tocai rimasto.
Mi vengono in mente casi ancora più campanilisti come quella tra il Prosecco italiano e il Prošek croato, due vini completamente diversi, perché uno è spumante, secco, l’altro è dolce: in Croazia non possono più chiamarlo con il loro nome storico e tradizionale. E lo stesso vale, per esempio, per il Vermentino: l’anno scorso in Francia hanno scoperto di non poter più usare il nome Rolle, che è un sinonimo di Vermentino, quando in Corsica, e a Cap Corse in particolare, c’è una solidissima tradizione di Vermentino. Come si fa a dire a quei produttori che il nome utilizzato fino a quel momento deve cambiare perché è il nome di una denominazione in Italia? Peraltro Vermentino è il nome dell’uva, non di una denominazione.
Laura Cappon
Jacopo, per questa conversazione oggi siamo partiti dalla parola “vigna”, e quindi ti chiedo: questa parola ha per te un significato anche personale?
Jacopo Cossater
Bere i vini di una vigna che si conosce e che si è visitato ha un sapore speciale. Visualizzo immediatamente quel luogo bevendo quel vino, e ci sono tantissime vigne belle, storiche, importanti, che magari hanno anche dei significati particolari. Un vino a cui sono particolarmente affezionato è la Malvasia 4 Stati di Marko Fon in Slovenia: quella è una vigna incredibile che tra l’altro produce pochissimo, ha letteralmente poche viti e molto vecchie. Si chiama “4 Stati” perché fu piantata durante l’impero austroungarico, poi è diventata italiana, dopo ancora jugoslava e, infine, slovena. Quindi mentre il mondo è cambiato, la vigna è rimasta sempre ferma, sempre uguale a se stessa.
Francesco Maselli
Ringraziamo Jacopo Cossater per averci aiutato ad approfondire meglio un tema fondamentale per comprendere quanto l’Italia sia ricca di diversità.
Laura Cappon
Francesco, cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo numero di campanili?
Francesco Maselli
Indagheremo come stanno reagendo alcuni distretti industriali all’attuale fase economica globale e perché alcuni territori sono preoccupati per l’andamento delle nostre esportazioni. Sarà un approfondimento che farò a quattro mani con un’altra giornalista, esperta del mondo economico e produttivo italiano.
Laura Cappon
Grazie Francesco.
Francesco Maselli
Grazie Laura, alla prossima.
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